Il ritiro delle truppe Usa dalla Germania. Una sfida a Berlino (e all'Europa)


“Gli americani sono ossessionati dal fatto che la Germania possa diventare qualcosa di più e di diverso di una semplice potenza economica. Anzi, per dirla in modo più chiaro: Washington ritiene che la Germania sia intenzionata a diventare una potenza tout court. Ed è questa ossessione a spiegare l’annuncio del ritiro di 11.900 soldati Usa dal territorio tedesco”.

A parlare è Dario Fabbri, analista geopolitico, giornalista e consigliere scientifico di Limes. Che però aggiunge: “Fuori da questo contesto, la decisione è quasi incomprensibile dal punto di vista geostrategico”. In pratica, come annunciato dal segretario alla Difesa Mark Esper, gli attuali 36 mila militari statunitensi di stanza nella Repubblica federale dovranno essere ridotti a 24 mila. Di questi, circa 5600 saranno dislocati in Italia, Belgio e forse Polonia e Paesi baltici, mentre 6400 ritorneranno negli Usa. Il presidente Donald Trump lo ha detto chiaramente: “Riduciamo le truppe perché Berlino non paga il conto. è molto semplice”.

Ci vorranno anni per realizzare il piano

Il conto di cui parla il capo della Casa Bianca è quello della Nato, la sua accusa è che la Germania continua a non aumentare, come richiesto, il proprio contributo all’Alleanza. Ma è davvero così semplice? Fabbri ne dubita. “Tanto per cominciare, è molto difficile che tutto questo succeda davvero”, spiega l’analista. “Sul piano logistico ci vorranno anni per realizzare il piano. Nei prossimi mesi, ossia prima delle elezioni presidenziali Usa, non si muoverà nessuno: forse solo qualche centinaio di soldati, e solo per dare una parvenza di operatività prima del voto di novembre. Poi, se venisse eletto Joe Biden, il democratico ha già detto che rovescerà l’ordine esecutivo. Ma anche se venisse riconfermato Trump, difficilmente i numeri saranno quelli che si dicono oggi”.

Nondimeno, per quel che riguarda la ratio dell’annuncio, in parte va cercata nella classica strategia comunicativa trumpiana, afferma Fabbri: “Vuole parlare alla pancia del suo elettorato, quella parte d’America che si chiede che ci stanno a fare gli Usa in Germania, mentre Berlino continua a fare gli affari con la Russia. è propaganda, insomma”. Ma poi c’è l’aspetto strettamente strategico: “Se sei molto sospettoso nei confronti di un alleato, fai il contrario di quello che ha annunciato Washington: non vai a togliere le truppe. Anzi, l’alleato-avversario lo vuoi controllare”.

La ‘favola’ di voler proteggere la Germania

È limpido il ragionamento dell’analista: “Quella di proteggere la Germania è ovviamente un’antica favola: gli americani sono lì sin dalla Seconda guerra mondiale per controllare la Germania e con lei l’Europa. Ripeto: se vuoi impedire che Berlino pensi in grande e in modo indipendente, o che lo facciano altri Paesi, non lasci il campo, perché equivarrebbe ad un liberi tutti”, spiega ancora Fabbri.

“Certo, l’idea di Trump è quella di colpire i tedeschi mettendo loro paura, sguarnendo il loro fronte. Ma anche questo non ha granchè senso, perché la Germania finirebbe per spendere di più per le proprie forze armate, proprio nell’ottica di immaginarsi più indipendente, meno ‘satellite’ di prima”. Infine, la decisione di spostare il comando centrale delle forze Usa da Stoccarda: “Questa sembra proprio una punizione, sembra quasi la decisione di un bambino”.

Oltretutto, spiega Fabbri, per quel che riguarda lo spostamento delle truppe, si parla in realtà di piccoli numeri. Escludendo i militari che torneranno negli Usa, non sono grandi spostamenti di truppe quelle destinate in Polonia e forse nei Baltici, “questo anche perché un trasferimento massiccio di forze verso Est rappresenterebbe una provocazione inaccettabile, ai limiti dell’aggressione. Ma non ha senso provocare Mosca fino a questo punto, perché è un Paese quasi moribondo sul piano strategico”. Per quanto riguarda invece la dislocazione verso l’Italia, il motivo è che il nostro Paese “dispone già delle strutture più avanzate in Europa occidentale, per cui è semplicemente conveniente”.

La paura che Berlino diventi ‘qualcos’altro’

Dunque? La risposta sta sempre nel rapporto irrisolto con la Germania, nella paura che la Germania “diventi qualcos’altro, qualcosa che oggi neanche i tedeschi sanno dire”. Fabbri non esita a parlare di “aperta ostilità” di Washington nei confronti di Berlino: i difficilissimi faccia a faccia tra Donald Trump e Angela Merkel ci mostrano due mondi sempre più distanti, dai continui richiami al multilateralismo da parte della cancelliera alla profonda differenza dei rapporti con la Cina, fino al rifiuto da parte dell'”ex ragazza dell’est” all’invito dell’ex tycoon ad un G7 da organizzare a Camp David (sgarbo che, suggeriscono diverse fonti a Berlino, sarebbe stato l’elemento scatenante della decisione di ritirare le truppe).

Per estensione, il confronto si allarga all’Europa. Per l’analista, “quanto successo all’ultimo Consiglio europeo con il varo del Recovery Fund non ha fatto altro che confermare i sospetti americani sulla Germania, che ha mostrato di voler diventare il perno geopolitico e non solo economico del Vecchio Continente. Soprattutto nel momento in cui dimostra di volersi spendere per altri Paesi, come l’Italia”, nell’ottica di una visione condivisa dei destini europei, non solo quelli strettamente economici. Ma, avverte Fabbri, l’ostilità verso Berlino non è solo storia trumpiana: “è presente da anni, compresa l’epoca di Obama, sia pure con un’altra narrazione. Ai tempi del precedente inquilino della Casa Bianca era solo più flautata”.

Le prime reazioni tedesche, come quella del presidente della Commissione esteri Norbert Roettgen, parlano di “un indebolimento della Nato” e del fatto che il ritiro dei soldati rappresenta in prima linea un danno agli stessi Usa. “Non c’è dubbio, in questo hanno ragione i tedeschi. Pensiamo solo alla parte delle truppe che dovrebbe essere rimpatriata: secondo il progetto circa la metà continuerà ad agire in Europa. Ossia vi saranno trasferiti temporaneamente, senza le famiglie. Una follia, visto quanto miliardi costerà mandarli a fare la spola tra Stati Uniti e Vecchio Continente”.

Insomma, è la grande partita intorno all’Europa la vera posta in gioco, suggerisce Fabbri. Una grande partita nella quale ha ovviamente un ruolo anche la Cina: “Le vie della Seta sono pensate per essere il mezzo col quale sostituire la globalizzazione americana con la propria. Ma queste vie finiscono tutte in Germania. I cinesi sanno che la partita si gioca nel Vecchio Continente”. Oppure, detto altrimenti: “Se non domini l’Europa, non domini il mondo. E gli americani lo sanno bene”. Se poi il ritiro dei soldati sia la mossa giusta, è un’altra domanda. Ancora senza risposta. 

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Fonte: estero agi