AGI – Il trasporto delle anfore segnala un periodo di pace in quello che gli antichi indicavano come Mare Nostrum. Esse, scrisse l’archeologo Sebastiano Tusa, erano “uno degli elementi basilari per il trasporto di vari generi di consumo oltre al vino, quali l’olio, i frutti”. L’anfora “è per gli archeologi un elemento insostituibile, per giungere con facilità alla loro attribuzione culturale, etnica e politica, ma anche per conoscere e tracciare gli antichi sistemi e le rotte commerciali dell’antichità”.
Un anno dopo la scoperta al largo di Ustica di una nave del II-I secolo a.C. che ne trasportava un numero cospicuo, il mare di fronte a Palermo riserva altre sorprese: un relitto romano del II secolo a.C., giacente a 92 metri di profondità nelle acque antistanti a Isola delle Femmine, è stato individuato durante una ricognizione effettuata dal personale della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana a bordo della nave oceanografica Calypso South dell’Arpa Sicilia.
La nave, attrezzata con strumentazione di alta precisione, ha effettuato ricognizioni subacquee per verificare la presenza di reperti archeologici in alto fondale. E, stato un Rov, un robot guidato da remoto, a cogliere le immagini del relitto, e del suo carico di anfore, molto probabilmente di tipo vinario, della tipologia Dressel 1 A, ovvero classificate da Heinrich Dressel, archeologo tedesco che visse a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, le piu’ diffuse in età repubblicana e testimoni della sempre più crescente importanza che assumeva il mar Mediterraneo per il commercio del vino italico.
“Il Mediterraneo ci restituisce continuamente elementi preziosi per la ricostruzione della nostra storia legata ai commerci marittimi, alle tipologie di imbarcazioni, ai trasporti effettuati, alle talassocrazie, ma anche – precisa la Soprintendente del Mare, Valeria Li Vigni – dati relativi alla vita a bordo e ai rapporti tra le popolazioni costiere. La missione congiunta ha consentito il secondo ritrovamento di eccezionale interesse che segue quello del relitto coevo di Ustica. Il ritrovamento conferma la presenza di numerose permanenze archeologiche nelle fasce batimetriche oltre i 50/80 metri, che ci stimolano a proseguire le nostre ricerche in alto fondale in sinergia con le competenze dei tecnici dell’Arpa, che continueraà a produrre esiti eccellenti”.
“Lo studio e il monitoraggio dell’ambiente marino, costantemente operati da Arpa Sicilia – dice il direttore Vincenzo Infantino – continuano ad arricchire il quadro delle preziose bellezze presenti nel mare siciliano sotto molti aspetti, non solo sotto il profilo delle specie e delle risorse ambientali, la cui tutela è un imperativo imprescindibile per la nostra comunità, ma anche del recupero di elementi essenziali per la ricostruzione della storia del nostro mare sotto il profilo dei movimenti commerciali”.
Il relitto di Ustica venne trovato, anch’esso, a luglio nel mare in cui un “cuore” di marmo era stato calato l’anno prima per ricordare Sebastiano Tusa, archeologo di fama mondiale scomparso nel marzo di un anno nell’incidente aereo della Ethiopian Airlines, fondatore di quella Soprintendenza che la moglie dirige. “In Sicilia – ha scritto Tusa nel volume “Primo Mediterraneo” (Edizioni di storia e studi sociali) – è accertata, fin dall’epoca protostorica, la produzione di vino, ma è con l’affermarsi di Roma sulla scena politica ed economica mediterranea che il commercio del vino diventa una delle attività più lucrose e diffuse per gl’imprenditori dell’epoca. Intorno al primo secolo avanti Cristo – prosegue – sappiamo che la Sicilia, nella zona peloritana intorno a Messina, produceva del buon vino, detto Mamertino, che divenne talmente rinomato da attirare l’attenzione di Cesare, che lo offrì ai suoi commensali in occasione del banchetto celebrativo del suo terzo consolato (46 a.C.)“.
Source: agi