Il racconto di Yoel fuggito dalla Libia: "Corpi nella spazzatura"


AGI – “Sono nato un’altra volta nel giorno in cui sono stato salvato in mare”. Storia Yoel, sopravvissuto di origine eritrea e padre di cinque figli, soccorso dalle squadre di Sos Mediterranee nel dicembre scorso.

Una narrazione affidata al team di Sos Mediterranee e ora diffusa. Aveva lasciato l’Eritrea, il suo Paese natale afflitto dalla dittatura, più di cinque anni fa. Dopo quattro anni difficili trascorsi in un campo profughi nel Tigray, in Etiopia, nella regione è scoppiata la guerra.

È riuscito a fuggire in Sudan. Di fronte alla mancanza di opportunità di lavoro, ha deciso di andare in Libia. Al suo arrivo, Yoel spiega, è stato “detenuto arbitrariamente” per diversi mesi: prima a Kufra, una città di confine con il Sudan, poi di nuovo a Tripoli, in un famigerato centro di detenzione chiamato “Ghut Shaal”, situato nel distretto di Gargaresh.

È maturata così la decisione di intraprendere la disperata via del mare. Il 16 dicembre, in una fredda mattina, è stato soccorso da un gommone sovraccaricato: a bordo, altre 113 persone, tra cui donne, due bambini di età inferiore agli 8 anni e due neonati di meno di un mese.

This is the story Yoel* told #OceanViking teams:

“A lot of people were detained in terrible conditions [in a detention centre]. We decided to escape. I was shot in the leg. I thought I would die, but I was eventually taken to a hospital. Several people died that day.” pic.twitter.com/x1HxcDhAVL

— SOS MEDITERRANEE (@SOSMedIntl)
December 20, 2021

Avevano passato tutta la notte ammucchiati uno sopra l’altro, senza giubbotti di salvataggio. Il 44enne ha raccontato: “Nei campi libici siamo rimasti per due settimane in condizioni terribili. Molti di noi stavano morendo di fame. Siamo stati picchiati dalle guardie e non ci hanno dato da mangiare finché non fossimo sull’orlo della morte. Stavamo soffrendo molto e abbiamo deciso di protestare e di lasciare questo posto. Ma ci hanno sparato, io sono stato ferito a una gamba, ma molte persone sono state uccise quel giorno”. 

Yoel ha detto di avere visto corpi di persone decedute gettati nei bidoni della spazzatura. Altri sono morti in ospedale. 

Secondo lui, c’erano circa 2.500 persone in questo centro di detenzione a Tripoli, nel Ghut Shaal. “Il giorno in cui abbiamo lasciato la Libia, ho deciso che se fosse arrivata la Guardia Costiera libica sarei saltato in acqua e mi sarei ucciso. Molte persone con me a bordo della barca avevano preso la stessa decisione”.

Infine, quasi una implorazione: “Vi prego di fare del vostro meglio per aiutare le persone che sono ancora nei centri di detenzione in Libia. Per favore, aiuta queste persone. Ci sono molti abusi contro le donne. Devono pagare di più per essere scarcerate e, anche se pagano molto, non vengono sempre rilasciate Sappiamo cosa succede alle donne in prigione e perché le tengono lì…”.

Source: agi