Il prossimo paese più popoloso del mondo


ERIKA FATLAND è una scrittrice e antropologa norvegese. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è La vita in alto. Una stagione sull’Himalaya (Marsilio 2021). Questo articolo è uscito sul quotidiano danese Politiken con il titolo Der bor flest mennesker i Kina. Nej, Indien.

GUIDO SCARABOTTOLO

Per entrare al Deltin Royale, il più famoso casinò di Goa, in India, bisogna fare la coda a ogni ora del giorno e della notte. L’ingresso ha un prezzo esagerato, ma questo non spaventa i visitatori, tutti in gran spolvero. In compenso il braccialetto di carta che vale da biglietto garantisce alcolici gratuiti a volontà e i bambini sotto i cinque anni entrano gratis.

È passato mezzo secolo da quando degli hippy emancipati hanno fatto conoscere Goa al mondo. L’ex colonia portoghese è ancora una popolare meta turistica, ma oggi sono soprattutto i turisti indiani ad affollarla.

Vengono a bere alcolici a basso prezzo, a fare vita da spiaggia (decisamente più coperti degli hippy) e per sperperare soldi nei casinò. Il gioco d’azzardo è proibito in India, ma alla fine degli anni novanta hanno trovato una scappatoia per aggirare la rigida legge sul gioco: e se i casinò non fossero a terra ma sull’acqua? Negli anni seguenti lungo la costa di Goa i casinò galleggianti sono spuntati come meduse luminose.

Il Deltin Royale galleggia sul fiume Mandori senza andare da nessuna parte. Nella stellata notte tropicale di Goa genitori e figli ballano sulle note di Hotel California degli Eagles. Sulla banchina i mendicanti magri e nervosi nutrono la segreta speranza che il tasso alcolico renda i giocatori della notte molto generosi.

Questa era l’India nel 2022. Un suo piccolo angolo.

Ho visitato il paese per la prima volta vent’anni fa, con in tasca il mio fresco diploma di maturità. Dopo qualche mese passato a smistare braciole di maiale di fronte a un rullo trasportatore, il mio conto in banca era diventato abbastanza ricco da permettermi di fare lo zaino e prendere un aereo per Mumbai.

Arrivate al nastro per il ritiro dei bagagli all’aeroporto, due giovani statunitensi erano già crollate. Mentre una si disperava e piangeva, l’altra cercava una possibilità per tornare immediatamente in Oklahoma. L’India ti travolge. È una cacofonia di suoni, spezie, scarafaggi, amebe, gas di scarico, colori e miseria nera. Sarei tornata a casa qualche mese più tardi, più leggera di dieci chili.

Da allora la popolazione indiana è cresciuta di 320 milioni di persone, una cifra pari quasi a quella di tutti gli Stati Uniti. Al tempo stesso un numero ancora maggiore d’indiani è uscito dalla povertà estrema, o almeno così dicevano i dati prima che la pandemia paralizzasse il mondo.

Altri numeri: ogni giorno sulla Terra nascono 385mila bambini. Uno su quattro crescerà come in India o in Cina. Già alla metà degli anni settanta nascevano più bambini indiani che cinesi, ed è per questo che a metà aprile di quest’anno l’India supererà la Cina come paese più popoloso al mondo. Le Nazioni Unite hanno stimato che la popolazione totale del paese in quel momento sarà di 1.425.775.850 persone.

In termini di superficie, l’India è solo il settimo paese più grande del mondo. Ha una superficie quasi tre volte inferiore a quella della Cina, ma sul suo territorio vive un numero di persone pari a quello di tutto il continente africano.

Per molti versi l’India non è un paese, ma un intero subcontinente. Questo paese o subcontinente consiste di ventotto stati federati e otto territori, le banconote si stampano in quindici alfabeti diversi. La Cina ha una lingua ufficiale, l’India ne ha ventidue. Ma se si contano quelle parlate il numero è molto più alto. A seconda di come si calcolano, sarebbero tra le 450 e le 1.700.

Sono cifre incredibili.

Si possono scrivere libri e libri sull’India, la più grande democrazia del mondo, senza riuscire a scalfirne la superficie. Io stessa ho viaggiato soprattutto nella periferia del paese, nelle regioni di confine con il Pakistan, la Cina e la Birmania, e nelle ex enclave portoghesi, lontano dalle popolose città del delta del Gange. Spesso è proprio nelle periferie che si può imparare di più su un paese grande e potente. Lì, lontano dagli uffici governativi, vivono popolazioni diverse dalla maggioranza. Come sono trattate?

In Russia, per esempio, sono stata soprattutto nel nord del Caucaso, in cui i ceceni per anni hanno combattuto invano una battaglia per staccarsi dal Cremlino. Vladimir Putin ha risposto bombardando e radendo al suolo la Cecenia e insediando un dittatore con pieni poteri di governare secondo la sua coscienza, o piuttosto senza.

Nel mio soggiorno in Cina sono stata in prevalenza nello Xinjiang e in Tibet. Nessun altro stato sorveglia i suoi cittadini quanto quello cinese. Nello Xinjiang il Partito comunista ha portato la sorveglianza a livelli estremi. C’erano telecamere ovunque e innumerevoli posti di blocco e controlli dei documenti d’identità. Più di un milione di uiguri nello Xinjiang sono finiti nei cosiddetti campi di rieducazione senza un motivo legale o una sentenza, in quello che è a tutti gli effetti un genocidio culturale.

Le cose non vanno meglio in Tibet. Gli altopiani deserti erano decorati con giganteschi manifesti che invitavano le persone a denunciare le “forze oscure” alle autorità. Per una foto del dalai lama nel telefono un tibetano rischia molti anni dietro le sbarre. L’aria sottile era densa e soffocante di paura. Solo in Corea del Nord ho sperimentato un terrore così pervasivo, quasi fisico.

Fuori dal tempio di Tsuglagkhang a Dharamsala, la residenza in esilio del dalai lama in India, la coda si estendeva per tutta la strada e l’aria di montagna risuonava di speranze e risate. Il tempio era pieno di persone e ogni angolo era coperto di cuscini e pellegrini. Molte migliaia di tibetani in esilio erano presenti e ascoltavano commossi quando sua santità il quattordicesimo dalai lama ha cominciato a parlare. Gli stranieri erano invitati a portare con sé una radiolina per poter ascoltare la traduzione del discorso. Ho comprato una radio da quattro soldi che non funzionava bene, così ho captato solo qualche parola sparsa: Budda… natura del sé… armonia… vuoto… pace…

Per chi vuole vivere la cultura tibetana nella sua manifestazione libera è di gran lunga preferibile andare nell’India aperta e democratica invece che in Cina, chiusa e autocratica. Ai confini indiani con il Tibet i templi buddisti sono tanti e molti hanno più di mille anni.

Ma neanche dal lato indiano è tutto pace e armonia, in particolare nelle zone di confine.

Fino a un paio di generazioni fa le carovane di commercianti dall’Himalaya si muovevano in libertà tra Lhasa, in Tibet, e Kashgar, nello Xinjiang, attraverso quelli che oggi sono India e Pakistan. I popoli di montagna dell’Himalaya avevano più contatti tra loro che con i governi nelle lontane capitali Dopo la divisione tra India e Pakistan nel 1947 e l’invasione del Tibet da parte della Cina queste relazioni si sono interrotte. I confini tra India, Pakistan e Cina sono ormai talmente contesi da risultare impenetrabili. A intervalli irregolari, le tensioni irrisolte creano situazioni che potrebbero incendiare l’intera regione.

Nell’estate 2020 ci si è andati molto vicini quando centinaia di soldati dei due paesi più grandi si sono scontrati nella notte sui monti della valle di Galwan, al conteso confine con la regione Aksai Chin, controllata dalla Cina. Per molte ore i soldati hanno combattuto uno contro uno. A causa della situazione di tensione lungo il confine, i militari di stanza nella zona non sono armati, ma anche così lo scontro ha provocato la morte di venti soldati indiani e un numero imprecisato di vittime tra quelli cinesi. Lo scorso dicembre, i soldati di frontiera si sono scontrati nuovamente lungo i 3.440 chilometri di confine conteso, questa volta nelle montagne a est. Non sono state segnalate vittime, ma la situazione rimane tesa.

La frontiera tra India e Pakistan non è meno problematica. Entrambi i paesi rivendicano il Kashmir, che nel 1947 apparteneva in gran parte all’India e che da allora per il governo è un grattacapo.

Il Kashmir musulmano è per molti aspetti lo Xinjiang dell’India. Nel breve tratto dall’aeroporto al centro di Srinagar ho visto tanti soldati in assetto di guerra da perdere il conto. Il Kashmir, conosciuto per il clima ideale, le sontuose case galleggianti e gli splendidi giardini, è una delle aree più militarizzate del mondo. Aggressioni ai civili e detenzioni arbitrarie fanno parte della vita quotidiana e spesso è in vigore il coprifuoco.

Sotto il primo ministro Narendra Modi gli attriti tra indù e musulmani si sono accentuati. Modi è stato rieletto con un buon margine nel 2019, tra l’altro grazie alla promessa di abrogare il paragrafo 370 della costituzione, che dal 1947 garantiva lo statuto speciale allo stato di Jammu e Kashmir.

Mentre si abrogava la costituzione decine di migliaia di soldati sono stati inviati nella regione, già pesantemente militarizzata, migliaia di civili sono finiti in carcere e a tutti gli stranieri e ai turisti è stato ordinato di lasciare il Kashmir. È stato imposto un lungo coprifuoco e internet è rimasta inaccessibile per un anno e mezzo. Tonnellate di mele troppo mature sono state lasciate marcire sugli alberi perché le autorità hanno vietato l’ingresso ai lavoratori stagionali provenienti da altre parti dell’India.

In alto sui monti dell’Himalaya si trova Gangotri, una delle mete di pellegrinaggio dei fedeli indù. Da qui le acque ancora immacolate del Gange scorrono verso gli altipiani del nord dell’India. La sorgente è raggiungibile solo a piedi e per questo è meno frequentata.

Negli ultimi chilometri il sentiero è interrotto, così con dei pellegrini ci siamo dovuti arrampicare sulle rocce e attraversare ripidi pendii che rischiavano di franare. Il vecchio sentiero verso il ghiacciaio era stato distrutto durante la grande alluvione del 2013, costata la vita a più di cinquemila persone.

Il ghiacciaio di Gangotri era quasi invisibile per via della ghiaia. Il ghiaccio stesso era nascosto, ricoperto di sabbia nera e ciottoli. Da un’apertura ovale sgorgava acqua gelida. Mi aspettavo un ruscelletto che gorgogliava, ma il Gange è sorprendentemente turbolento fin dalla nascita. Gli indù chiamano la sorgente Gaumukh, bocca di vacca, e l’apertura sembra davvero una bocca. La vita di mezzo miliardo di persone dipende dall’acqua di fusione che sgorga dalla bocca di vacca di questa sorgente che sembra eterna.

Ma la sorgente eterna si sta indebolendo. Come la maggior parte dei ghiacciai himalaiani, anche quello di Gangotri si sta rimpicciolendo. L’acqua di fusione dei ghiacciai himalaiani rappresenta circa il 70 per cento dell’acqua del Gange e si sta riducendo a un ritmo allarmante. Anche se la quantità di pioggia sarà uguale in futuro, l’acqua non scorrerà più in modo così regolare. Alle alluvioni seguiranno la siccità e poi altre alluvioni, in un circolo da incubo.

I 67.385 nuovi nati al giorno cresceranno nella più grande democrazia del mondo con tutti i suoi errori e le sue mancanze. Diventeranno adulti in un’economia in forte crescita che con ogni probabilità sarà presto la terza al mondo e quindi, forse, avranno più soldi da spendere dei loro genitori. Forse alcuni di loro se li giocheranno al casinò Deltin Royal. Allo stesso tempo i nuovi nati indiani dovranno vivere con le imprevedibili conseguenze dei cambiamenti climatici che colpiranno l’India più di molti altri paesi.

La nuova generazione crescerà in un paese più sicuro di sé – una brutta notizia per il Kashmir – e che avrà un’influenza sempre maggiore a livello globale. Perché nel mondo globalizzato è la quantità che conta, che si tratti di prodotto interno lordo, di forza lavoro o di cervelli pensanti. E presto quelli indiani saranno la maggioranza. Che ruolo giocheranno nei complicati rapporti con la Cina e la sua popolazione che diminuisce e invecchia è tutto da vedere.

L’unica certezza è che in India saranno di più. ◆ pb, fc

NINAR ESBER è un’artista e scrittrice nata nel 1971 a Beirut. Vive e lavora a Parigi. In Italia è uscito il suo libro Conversazione con Adonis, mio padre (Archinto 2009).

Questa poesia è tratta dalla raccolta Mes instantanés. Beyrouth-Paris 1990-2021 (Éditions du Canoë1 2022). Traduzione dal francese di Domenico Brancale.

GUIDO SCARABOTTOLO

Storie vere

Jeff Reitz, 50 anni, è la persona che ha visitato più spesso Disneyland: ci è andato 2.995 volte di fila, cioè otto anni, tre mesi e tredici giorni. Reitz abita a Huntington Beach, una località della California non lontana dalla Disneyland di Anaheim. Nel 2012 era disoccupato, così degli amici gli hanno regalato un pass di un anno per il popolare parco di divertimenti, per farlo uscire un po’ di casa. E lui ha cominciato ad andarci tutti i giorni, diventando popolare anche con i dipendenti del parco. Ha smesso il 14 marzo 2020, quando Disneyland ha chiuso per il covid-19. Ora il Guinness dei primati ha deciso di riconoscere il suo record.

Poesia

La carne che ero Piaceva ai rapaci Tenera palpitante Beccavano i miei seni Le mie mani, il mio antro Me, carne tenera e sanguinante

– Pietre rispondete! Venite a darmi un bacio sulla testa Distendetevi sul mio cuore Riposatevi sul mio corpo Dormite accanto a me e piangete

Parigi 7 aprile 2018

Ninar Esber

Fonte: L’Internazionale