Il piano di Erdogan per eliminare il Pkk dai confini della Turchia


AGI – Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha promesso di cancellare definitivamente l’organizzazione separatista curda Pkk dai confini della Turchia e l’esercito turco ha esteso l’operazione militare in corso al Nord della Siria, colpendo obiettivi legati allo Ypg.

Questi ultimi costituiscono l’ala siriana dell’organizzazione terroristica curda che Ankara considera una minaccia per i propri confini, ma che allo stesso tempo ha stretti rapporti con gli Usa, da cui ha ricevuto negli anni passati armi poi utilizzate nella lotta all’Isis.

Negli ultimi giorni colpi di mortaio sono caduti nella provincia di Kobane, mentre diverse incursioni di droni nell’area di Tal Tamer e Zarkan nella ‘Rojava’ sotto controllo Ypg, hanno ucciso un ufficiale curdo e due donne combattenti dell’ala femminile di Ypg, denominata Ypj e colpito depositi di armi.

La scorsa settimana il Pkk aveva reagito agli attacchi turchi, iniziati nel Nord dell’Iraq il 18 aprile, facendo detonare un ordigno a controllo remoto nella città nord-occidentale di Bursa, colpendo un autobus delle forze dell’ordine, uccidendo un ufficiale di polizia penitenziaria e ferendone altri. Un attentato che il governo turco ha definito “di matrice terroristica”, arrivato subito dopo la dichiarazione di uno dei più alti esponenti del Pkk, Duran Kalkan, che aveva annunciato “azioni di guerra nelle città turche”.

La tendenza del governo a sminuire l’attacco va intesa al fine di preservare l’industria turistica in un Paese che sta attraversando la peggiore crisi economica degli ultimi 20 anni. Tuttavia la dinamica rispecchia le modalità seguite dal Pkk negli attentati degli ultimi anni. Attentati che non avvenivano dal gennaio 2017, che hanno da sempre principalmente colpito militari, poliziotti e funzionari statali, ma anche spesso operai impegnati nella costruzione di infrastruttre, operatori forestali e insegnanti nel sud est del Paese.

Negli anni tra il 2015 e il 2017 attentati in alcune città dell’Ovest del Paese sono stati rivendicati dal Tak, i falchi per la libertà del Kurdistan, le cui azioni hanno spesso colpito civili e sono ritenute organiche a quelle del Pkk e il cui nome distinto servirebbe essenzialmente ad evitare condanne da parte dei Paesi occidentali che al Pkk hanno a volte offerto sostegno nonostante sia inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche di Turchia ed Ue. Il rischio è una nuova ondata di attentati, dopo che il governo turco il 18 aprile ha lanciato un’operazione militare via aerea e via terra per colpire le basi del Pkk nel Nord Iraq.

Operazione che dopo i primi giorni è stata allargata al Nord della Siria. In base ai dati forniti dall’esercito di Ankara, almeno 54 miliziani curdi sono stati “neutralizzati”, termine che indica gli uccisi e i catturati, mentre tre militari turchi hanno perso la vita in seguito alle ferite riportate negli scontri a fuoco.

L’operazione mira a distruggere le basi, i rifugi e i depositi di munizioni del Pkk nelle province di Zap, Metina, Gara e Avasin-Basyan, tutte situate nella regione del Kurdistan Iracheno (KRG), regno della famiglia Barzani da tre generazioni, regione autonoma ma non indipendente da Baghdad.

Per il governo del Krg ripulire l’area dal Pkk ha il vantaggio di garantire agli uomini del governo Barzani accesso e controllo di regioni montuose ed arriva in seguito all’alleanza sempre più stretta tra Erdogan e la famiglia Barzani. Un legame economico che ora punta a trovare un accordo per un gasdotto che porti in Turchia il gas curdo, come testimoniato dalla recente visita di Erdogan, arrivata a sorpresa a pochi giorni dall’inizio della crisi in Ucraina.

Un progetto che trova il favore dell’Europa, alla ricerca di alternative al gas russo. Oltre alle ragioni energetiche Erdogan sa di essere riuscito in questi anni a spingere il conflitto con i separatisti curdi oltre i confini del Paese ed è deciso ad annientare definitivamente l’organizzazione e ottenere un risultato importante su cui far leva in vista delle elezioni del 2023 Si tratterebbe di un risultato dal grande valore simbolico in un Paese in cui il Pkk costituisce da quasi 40 anni un incubo.

Erdogan tentò uno storico processo di pace che portò a una tregua di due anni e mezzo terminata all’inizio dell’estate 2015. Un miracolo, se si tiene contro che dal 1984 a oggi questo conflitto è costato la vita a circa 50 mila persone, che però non portò a nessun risultato politico. Erdogan perse le elezioni del 2015, il processo di pace fu considerato dai nazionalisti dell’Mhp e dai repubblicani del Chp un tradimento ai valori del Paese.

Erdogan scelse allora di interrompere la pace e attaccare il Pkk con una serie di operazioni durissime nei tre anni seguenti, che gli permisero sia di eliminare le sacche di resistenza all’interno della Turchia, dia di guadagnare il sostegno dei nazionalisti dell’Mhp. Ora la guerra al Pkk sembra essere arrivata all’atto conclusivo. Erdogan e il ministro della Difesa Hulusi Akar hanno ripetuto che puntano all’eliminazione totale del Pkk che se davvero dovesse avvenire significherebbe la fine di un conflitto latente, sempre pronto ad infiammarsi. Un risultato da raggiungere attraverso una vittoria militare dopo che la strada del negoziato gli causo’ una sonora sconfitta elettorale che stavolta il presidente non può permettersi. 

Source: agi