Il nuovo album dei Modà “Buona fortuna (parte prima)” 


AGI – Anche se l’attesa è durata solo qualche anno, una tempistica normale per chi era abituata alle tempistiche discografiche da supporto fisico, il ritorno dei Modà fa un po’ più rumore di quello degli altri.

Questo non solo perché i Modà fino ad un attimo prima dell’esplosione dell’indie (ma solo come riferimento temporale, non è stato quello il problema) erano una band dal successo stratosferico, da tre sold out a San Siro, per intenderci, da disco di diamante della FIMI, gli unici a vincerlo nel nuovo millennio in Italia; ma perché il silenzio di questi anni è stato pressocché totale.

E quelli che si riaffacciano sulla scena italiana sono probabilmente i migliori Modà della storia dei Modà.

Con “Buona fortuna (parte prima)” ci risulta pressocché azzerata quella pomposità del loro pop televisivo; c’è più musica, ci sono idee, ci sono contenuti finalmente più adulti.

“Non ti mancherà mai il mare” per esempio, che Kekko ha evidentemente scritto per la figlia, è dolce e cruda come le migliori fiabe; certo è tutto molto semplice, pulito, dritto, anche quando si affrontano temi di attualità un po’ più delicati, ma riesce anche a non essere piatto e uguale a se stesso.

C’è ancora posto per questo genere di pop pulito, colmo di romanticismo, portato avanti con il bel canto, nella nuova discografia?

Il pop per noi significa coerenza. Che poi non sappiamo esattamente che tipo di band siamo, se siamo pop, rock, elettronica, nazional popolare, ma non ci diamo nemmeno un’etichetta: i Modà sono uno stato d’animo, fondamentalmente quello di cui hanno voglia di scrivere, di parlare, ne parlano e cercano di inserire nell’album tutto quello che gli passa per la testa. La musica dev’essere un’apertura verso il mondo. È chiaro che abbiamo dei paletti, perché poi il trend che va di moda è una cosa che ci interessa ben poco. Credo che negli anni i Modà siano riusciti a raggiungere i propri obiettivi soprattutto perché sono stati sempre coerenti, hanno utilizzato un linguaggio semplice e hanno cercato di rimanere fedeli alla melodia. Quindi, se c’è spazio per noi? Si, secondo me ce n’è anche di più, perché sto vedendo che la gente fa di tutto per rimanere al passo coi tempi, in cambio di cosa poi? In cambio di popolarità, ma poi alla fine la differenza la fanno i biglietti che vendi, non la fanno i passaggi in radio, quanti follower hai…con i follower non ci compri la casa, non ci compri niente coi follower, è con le canzoni che alla fine ti costruisci una carriera. Boh, forse in questo momento siamo noi gli indie, è un po’ strana la situazione, si è invertita un po’, ma siam contenti, non facciamo gare con nessuno anche perché quello che dovevamo fare negli anni lo abbiamo fatto, abbiamo dimostrato, messi alla pari con tutti gli altri, abbiamo ottenuto risultati incredibili, siamo andati in giro per il mondo, abbiamo fatto gli stadi, abbiamo fatto dischi di platino, di diamante (che dal 2011 ad oggi non l’ha mai fatto nessuno, neanche con lo streaming). In questo momento abbiamo poco da dimostrare, solo da confermare la nostra coerenza, per questo andiamo avanti facendo quello che ci piace fregandocene di quello che è trend.

Nel momento in cui si torna e ci si accorge che le sonorità che vanno sono diverse, ci si pone il problema “mah, magari vediamo di adattare quello che facciamo”?

Ti faccio l’esempio di Baglioni, ovviamente non potrei mai paragonare i Modà a Baglioni, perché parliamo di un mostro sacro; ma Baglioni fa sempre le sue canzoni, fa sempre la sua musica e se fa 50 teatri li riempie. Non c’è bisogno di adattarsi perché il mercato è molto vario, mia madre quella musica lì non la ascolta, mia madre continua ad ascoltare quello che le piace, mia zia pure, i miei cugini pure; quella che si senta adesso è roba da ragazzini, è fatta di rime, di pochi contenuti, dicono che vengono tutti dalla strada, ma hanno 18 anni e vengono tutti dalla strada? Ma non è una critica eh, attenzione, è una fotografia. Poi funziona tutto con lo streaming, le playlist, ma alla fine il mercato è talmente veloce che dopo un mese, neanche un anno, è tutto dimenticato. Noi non facciamo così, prima di interrompere il tour abbiamo fatto 7 date sold out, ne abbiamo altre dieci con 70mila biglietti venduti. Io non penso che per una band come la nostra sia il tempo di preoccuparsi, credo sia il momento di divertirsi, che significa lavorare senza l’impegno di doversi per forza confermare, anche perché sarebbe impossibile confermarsi oggi. Io non sono nemmeno sui social per far vedere l’orologio, la macchina bella…quelle cose io non le posso più fare, sarebbe incoerente rispetto alla mia persona, io sono un uomo di 44 anni quasi, come posso mettermi a paragone con questa nuova generazione, è impossibile.

Molti artisti della vostra generazione hanno deciso di scendere un po’ a patti con tutto il mondo urban, voi invece in un’intervista avete dichiaratamente detto che la trap non vi piace…

Queste sono scelte, io non posso dire che la mia è giusta, non sono mica Gesù Cristo che quello che dico io è giusto, non sono uno sceriffo che detta legge; io posso dirti il mio punto di vista, poi ogni artista è giusto che faccia quello che gli pare. Per quanto mi riguarda è un mondo che non mi interessa, ci vedo poca profondità, non me l’ascolterei mai quella roba. Mia figlia a dieci anni la ascolta di brutto, mi dice: “Papà senti questo, senti quest’altro”. Ed io dico “certo”, cosa le posso dire? “Non ascoltarla”? E chi sono? Io quando avevo 10 anni mio padre mi faceva ascoltare Vasco, ora non posso fare ascoltare a Gioia la trap? Ci mancherebbe, lei ascolta quello che vuole nei limiti del possibile, perché poi ci sono certi artisti che parlano con un linguaggio troppo violento quindi si deve stare attenti. Lei canta Elettra Lamborghini, mi fa fare anche i balletti e mi diverto anche, mi dice anche che Elettra Lamborghini è più brava di me, “Questa qua è più bella della tua papà!” mi dice. È tutta una questione di età.

Invece per quello che riguarda il rap…?

No, be, il rap è un altro pianeta. Qui se parliamo di Salmo, di Emis Killa, se parliamo di artisti di un certo livello allora stiamo andando in quello che secondo me oggi è il vero rock. Ormai di rock in Italia solo i Maneskin credo siano rimasti tra i giovani, ma il rock fondamentalmente è provocazione e loro sono gli unici che riescono veramente a provocare attraverso le canzoni e lo fanno spesso con un linguaggio nudo e crudo che fa comunque parte di quel mondo. Io sono un grande fan di Salmo ed Emis Killa, quella è musica che mi piace, quando la ascolto lo faccio con attenzione, è musica vera che ha credibilità. Ma stiamo parlando di due cose molto diverse, rap e trap non c’entrano niente tra di loro.

Prima dei Maneskin l’unica band che ha realizzato tutto quello che si pensava fosse realizzabile in Italia siete proprio voi Modà. Quando i Maneskin sono riusciti nell’impresa di compiere questo ulteriore step internazionale cosa hai pensato?

Mi è venuto in mente il riscatto da parte dell’Italia. In Italia il rock è sempre esistito, c’è gente che l’ha fatto e continua a farlo e anche molto bene, soltanto che noi italiani siamo sempre stati visti solo come quelli del bel canto, come quelli della melodia, ma c’è gente in Italia molto brava, magari un po’ di nicchia. Quindi il fatto che ci siano riusciti i Maneskin e che stiano creando tutto questo scompiglio in Italia, credo che sia veramente un riscatto, questi ragazzi hanno fatto qualcosa di straordinario ed io sono molto felice, anche perché apre le porte a tante altre band. Chiaramente non noi, perché noi non siamo una rock band, noi forse siamo più per il mercato sudamericano, noi non siamo dei provocatori, non ci vestiamo, non facciamo quel genere di musica; ma loro se lo sono meritati, perché oltre ad essere giovani sanno anche suonare. Io a vent’anni giravo ancora per la birra, suonavo alle sagre della pizza, sono veramente straordinari e sono contento per loro.

Avete dichiarato anche che certamente non ci sarete a Sanremo…

No, non ci saremo. Voglio essere sincero e non dire una cosa per un’altra. Io non ho più la pazienza, non riesco più a farle quelle cose là, è una settimana durissima che mette proprio alla prova ed io faccio molta fatica, sono sincero. Passare le giornate a parlare e dire sempre la stessa cosa, e poi salire sul palco e ripetere ancora la stessa cosa, per 7/8 ore di fila. Io l’ho fatto tre volte Sanremo, mi ha dato tantissimo e, ti dirò, oggi Sanremo restituisce molto di più di quando lo facevo io, quindi in qualche modo sono anche un co…ne a non voler andare, perché noi siamo la band perfetta per il festival dal punto di vista musicale…

Be, Amadeus “no” non ve lo direbbe…

Io penso che i Modà potrebbero starci tranquillamente, ma proprio non ce la faccio, è più forte di me, se ci penso comincio ad avere ansia e negatività già adesso. Poi non riesco a dormire negli hotel, faccio una fatica bestiale, mi viene sempre la paura di ammalarmi, poi ci tengo a cantare bene…magari più avanti, a 60/70 anni, quando saremo vecchietti. Ora possiamo fare tante altre cose senza dover fare il festival, quindi ce le godiamo. Va bene così.

A proposito del titolo del disco, quando succedono cose belle è chiaro che la fortuna c’entra sempre, ma quanto ha contato la sfortuna nella storia dei Modà? Quante volte ti sei ritrovato a dire “che sfiga!”?

Tantissime volte. Prima avevamo questa sfortuna che scrivevamo canzoni e nessuno da un punto di vista radiofonico ci calcolava, poi la fortuna di arrivare a Ultrasuoni, che è un’etichetta che possedeva tre network. Ecco, appunto, messi alla pari degli altri siamo riusciti a farci conoscere, anche se gli altri network che non appartenevano al gruppo non ci passavano. Su otto network, tre si e cinque no, ma andava bene lo stesso, siamo riusciti a fare i numeri. Tra l’altro negli ultimi due dischi avevamo dalla nostra solo RTL, perché già avevano problemi, e nonostante quello abbiamo fatto 300mila copie vendute. Poi la sfortuna è che sai, se noi avessimo fatto parte di una grossa etichetta, come la Universal, la Sony, cambi casa ma il tuo rapporto con le radio non cambia, nel nostro caso la sfortuna è stata svincolarsi da un’etichetta che possedeva tre radio e quando tu ti svincoli da questa situazione e loro non hanno più interesse verso di te, chiaramente non hai più quei tre network e non hai nemmeno quelli che non ti hanno mai passato, quindi è un po’ come ripartire da zero. Oggi su EarOne siamo forse duemillesimi, non ci passa una radio, ma la grande fortuna è aver lavorato bene negli anni, la grande fortuna è che ci sono queste piattaforme che anche se hanno tolto tanto ti restituiscono tanto in termini di visibilità, e andiamo avanti. Comunque sia il tour è pieno, quindi vuol dire che qualcosa di buono è rimasto.

Voi siete in attività dal 2002, siete stati protagonisti della discografia italiana fino alla rivoluzione indie in pratica, come avete vissuto quel cambiamento?

C’è stata un po’ di frustrazione, sarebbe da ipocriti non ammettere una roba del genere, perché sei all’apice da anni e poi vieni cancellato completamente da un sistema radiofonico come se non avessi mai fatto nulla, dato nulla a questo mondo, quindi ti fa male. Però poi alla fine ci siam guardati in faccia e ci siamo detti: “Noi abbiamo fatto in sette anni, da quando abbiamo firmato nel 2010 con Ultrasuoni, fino al 2016, quello che la gente non riesce a fare in 30 anni. E forse nemmeno ci riesce in 30 anni. Noi oggi possiamo guardarci in faccia e dirci “Noi abbiamo avuto un apice, ma un apice vero, perché riempire tre volte San Siro, riempire lo stadio Olimpico, suonare in giro per il mondo, dischi di platino, di diamante… questa non è una cosa che potrà mai essere dimenticata”; poi col tempo si dimentica tutto, per l’amor di Dio, ma sulla carta queste robe rimarranno per sempre. Un giorno parlando con Claudio Ferrante, un amico, il mio vecchio distributore, mi diceva “Sento parlare ‘sti ragazzini di disco di platino, ma io quando li guardo penso che non hanno capito nulla” (e lavorano per lui!), “Quando sento dire che i Modà sono morti penso sempre che non sanno di cosa stanno parlando!”. Loro gli rispondono che streammano, ma poi non riempiono un club. Da tutto questo noi ne siamo usciti ancora più sereni, perché non dobbiamo più fare la canzone su richiesta, su commissione, non dobbiamo più esporci come ci esponevamo prima… quando abbiamo voglia facciamo qualcosa, quando non abbiamo voglia usciamo con gli amici. So che è un discorso da pensionato però secondo me è l’unico modo con cui si può prendere. Perché se ti accanisci sul fatto che devi passare alla radio, fare la tv…alla fine non ne esci.

C’è qualche scelta tornando indietro che non rifareste?

È difficile dirlo, perché ci è andata talmente bene che oggi se penso che potrei fare qualche scelta diversa mi dico “Ma poi, se avessi fatto questa scelta diversa, sarebbe stato lo stesso tutto? Me lo garantite?”. Sicuramente, da un punto di vista personale, quella conferenza stampa che feci prima di San Siro in cui per la frustrazione cominciai un po’ a delirare; le radio non seguivano più il progetto nonostante ci fossero dentro fino al collo, erano ancora proprietarie di tutto, edizioni etc etc…ma non ci passavano i pezzi per problemi interni. Allora feci quella conferenza in cui andai contro a due dei tre presidenti e questa cosa mi dispiace ancora oggi. Ho avuto modo di chiedere scusa a tutti e due, ma ovviamente quello per me significava liberarmi di qualcosa che mi aveva segnato. Perché comunque a tutti e tre voglio bene, anche se i rapporti ad oggi sono nulli, e di questo mi spiace perché quello che abbiamo fatto non l’abbiamo fatto da soli, sono persone più grandi di me e le parole forti che ho detto erano completamente fuori luogo; per me era come parlare così di mio padre, era una cosa che mi tenevo dentro da tempo. È andata così. Forse quella è l’unica cosa che non rifarei, ma credo che per il nostro futuro non sarebbe cambiato nulla, perché lì le radio avevano già smesso di passarci. Se già non ci passavano quando avevano degli interessi loro interni, figurati in quel momento. È proprio una questione personale con persone che mi hanno fatto realizzare tutti i miei sogni.

Quello che vi è capitato è molto strano, voi non eravate semplicemente spinti dalle radio, la spinta delle radio fine a se stessa non ti fa riempire tre volte San Siro. Alle radio, in ogni caso, non conveniva non passarvi…

E che ti devo dire? Sai, mi dispiace, le persone mi dicono “Ma perché non ti sentiamo mai alla radio?”, sono io il primo a non saper rispondere. È chiaro che mi dispiace ma non devo farlo diventare motivo di vita, devo anche guardare a quello che ci è successo. Oggi ci passano poco le radio, è vero, ma abbiamo una libertà impagabile, abbiamo i nostri spazi ma è chiaro che la percezione dei Modà non è più quella di una volta e per questi ragazzini nuovi arrivati i Modà sono morti, ma questo perché la discografia è cambiata completamente. È chiaro che se ci fosse ancora oggi il fisico e basta, vorrei vedere, sarebbe divertente; noi ancora dobbiamo educare il nostro pubblico allo streaming, quindi è più difficile per noi. Ma va bene così, non ci interessa, anche perché abbiamo visto che anche band e artisti della nostra generazione, non è che hanno fatto chissà che numeri, quindi è difficile per tutti, a prescindere dalla raio. Nessuno ci può dire che se ci avessero passato di più sarebbe andata meglio, quindi oggi è giusto “accontentarsi” e andare avanti e prendere questo mestiere nella maniera più leggera possibile.

Riassumendo: avete riempito tre volte San Siro, avete suonato in giro per il mondo, il vostro disco di diamante, ad oggi, è irripetibile, perché anche se qualcuno ci arriverà prima o poi sarà sempre tramite gli stream e sappiamo che non è la stessa cosa…Allora cos’è che sogna chi ha ottenuto praticamente tutto?

Sogno di non perdere quello che ho e di tenermi stretto quello che è rimasto di tutto il sogno, che poi alla fine è quello che conta: il pubblico, i tuoi concerti…so che sarà difficile, forse impossibile, rifare San Siro, perché per riempire uno stadio servono veramente le cannonate, dal punto di vista del marketing, servono radio e tv, quindi è veramente difficile, però per noi fare i palazzetti sold out è tanta roba, per noi fare ogni due anni i nostri quindici palazzetti dello sport, usciamo con quello che ci piace, con quello che abbiamo scritto, io sarei felice anche solo con questo. Ma sarei felice anche di suonare in cinque palazzetti all’anno, ma venti significa che la gente non si è scordata di te.

La vita da indie insomma…

Si, esatto. Perché la vita da pop l’ho già fatta. Io avrò fatto 500 concerti in sei anni, abbiamo fatto tutte le cose possibili immaginabili…io mi sono stancato in quei sei anni, quando ho finito mi sono detto “Io non canto più, non ce la faccio!”. Io comunque mi sono divertito, quando ci penso lo faccio con il sorriso.

Source: agi