di Alberto Colombelli
Quando, la sera stessa delle elezioni europee, sciolse l’Assemblea Nazionale e convocò nuove elezioni legislative si diceva che il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron avesse prefigurato due scenari.
Se andava bene, vinceva le elezioni legislative, respingeva prontamente il nuovo assalto dell’estrema destra che aveva nettamente vinto le elezioni europee e così ristabiliva prontamente l’equilibrio per chiudere al meglio il suo mandato.
Se andava male, le elezioni legislative le vinceva l’estrema destra, che sarebbe stata così stata chiamata subito a governare il Paese ma in coabitazione con lui, che avrebbe potuto condizionarne l’azione contribuendo a pregiudicarne il favore ed il consenso in proiezione delle elezioni presidenziali 2027.
Nulla di tutto questo è accaduto.
Quella strategia del Presidente della Repubblica francese ha bloccato sì l’estrema destra del Rassemblement National di Marine Le Pen, ma ha dato spazio ad una sinistra rappresentata dalla coalizione del Nouveau Front Populaire che ha ottenuto la maggioranza relativa alle elezioni legislative ed ha il suo principale componente in un partito all’altro estremo come La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, a cui proprio lui poi si è rifiutato di dare l’incarico di Governo.
Risultato, la nascita di un Governo di orientamento sostanzialmente centrista affidato all’esperto Michel Barnier, ex-Commissario europeo del centro-destra moderato, fragile sin dal suo insediamento avvenuto il 21 settembre 2024 con una maggioranza relativa solo grazie all’astensione dell’estrema destra, con sullo sfondo l’ingovernabilità di fatto per un Paese che non ha cultura di mediazione politica.
Risultato, gli elettori di estrema destra che si sono sentiti defraudati da una politica di desistenza puramente elettorale dei propri avversari politici che non si traduceva in una proposta di governo.
Risultato, gli elettori di sinistra che si sono sentiti dire di aver vinto le elezioni ma ai quali il Presidente della Repubblica ha escluso la possibilità di governare.
Con una tensione sociale crescente nel Paese.
Ora, inevitabilmente, le opposizioni unite dopo pochi mesi sfiduciano il fragile governo francese del Primo Ministro Michel Barnier ma soprattutto del Presidente della Repubblica Emmanuel Macron.
Con 331 voti favorevoli su 574, il 4 dicembre 2024 l’Assemblea Nazionale francese ha approvato la mozione di censura al Primo Ministro Michel Barnier, decretando la fine del governo francese più breve dal 1958 e il primo fatto cadere dal Parlamento dal 1962.
La mozione di sfiducia, presentata dalla coalizione del Nouveau Front Populaire, ha raggiunto e superato lo sbarramento grazie a un’inedita convergenza tra i partiti di sinistra e il Rassemblement National di Marine Le Pen. E Parigi così ora affronta in piena emergenza politica lo spettro di un budget in bilico e di una crisi economica all’orizzonte.
Il Presidente Macron adesso ci riproverà a costruire un nuovo, fragile, governo.
Ma faranno di tutto per non permetterglielo.
Costituzionalmente il Presidente della Repubblica francese ha possibilità di sciogliere l’Assemblea Nazionale solo una volta nell’arco di 12 mesi, quindi fino a luglio 2025 non può farlo.
E se non riesce a formare un governo rischia di doversi dimettere lui.
Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen puntano a questo, loro che appaiono agli estremi opposti ma che poi hanno anche diverse posizioni in comune: sull’abrogazione della riforma delle pensioni di Macron, sul protezionismo in economia, sull’ostilità alla NATO, sullo scetticismo verso l’Unione Europea sono d’accordo.
E Marine Le Pen accelera anche per motivi giudiziari visto che sta rischiando una condanna per frode e di uso improprio dei fondi del Parlamento europeo che la escluderebbe da ogni incarico per cinque anni, e quindi deve giocare d’anticipo prima della sentenza.
Allargando l’orizzonte, con la mossa politico-strategica del Presidente della Repubblica post elezioni europee si rischia sia finita quella che abbiamo sempre tutti considerato come la V Repubblica francese, o almeno il significato intrinseco che le abbiamo sempre attribuito. E di questo resta il fatto, inequivocabile, che tale responsabilità se l’è assunta, seppur sia chiaro in piena legittimità, un solo uomo.
Ora la Francia deve reinventarsi totalmente.
La V Repubblica francese ha costituito da sempre un modello di governabilità e rappresentatività capace di grande ispirazione, al punto di auspicarne con ricorrente e autorevole frequenza l’attuazione del relativo sistema semipresidenziale associato ad una legge elettorale alle elezioni politiche interamente maggioritaria in collegi uninominali a doppio turno anche da noi.
Dal 2000, da quando è stata ridotta la durata del mandato del Presidente della Repubblica francese da 7 a 5 anni, allineandola a quella delle legislative che si svolgevano nel medesimo anno, aveva anche permesso una maggior incisività nell’azione politica congiunta di Presidente e Governo.
Dalla sera delle elezioni europee, scioglimento anticipato dell’Assemblea Nazionale prima e desistenza elettorale poi hanno fatto perdere sia rappresentatività sia governabilità a questo modello istituzionale-elettorale.
La Francia di questi mesi è un’altra cosa e il suo assetto istituzionale appare aver perso improvvisamente la sua identificazione come modello ideale a cui tanti a lungo si erano ispirati.
Sicuramente c’è stato un errore di calcolo in chi ha portato a tutto questo, non solo per non essersi realizzati nessuno dei due scenari che aveva ipotizzato, ma per aver totalmente escluso che la sinistra (sostanzialmente diversa al suo interno) potesse perfezionare un accordo elettorale e ritrovandosi ora ad aver perso così in un unico turno elettorale circa metà dei suoi seggi all’Assemblea Nazionale.
Non c’è un solo sconfitto nelle ultime elezioni legislative francesi e in tutto quello che ne è conseguito, sono più d’uno e soprattutto lo è il modello ideale di democrazia che la Francia ha sempre rappresentato.
È soprattutto un ulteriore duro colpo per chi crede nella democrazia liberale e nello stato di diritto, ai suoi modelli e ai suoi valori, sempre più sotto assedio in un mondo multipolare che può contare su un’azione coordinata di autocrazie assertive, capaci di esercitare influenze anche in Occidente e con ambizioni egemoniche sia a livello regionale sia a livello globale.
La democrazia non è mai una conquista definitiva, va difesa, ogni giorno.
La responsabilità di farla funzionare parte e dipende sempre da ciascuno di noi, con la propria partecipazione e il proprio diretto coinvolgimento nella vita democratica, ogni giorno.
È il momento di esserne ancora di più consapevoli.