AGI – La valigia è pronta. I caricabatteria per computer e smartphone sono nello zaino. In tasca c’è il passaporto con un bel visto rilasciato dall’ambasciata Usa. E, dato che il Center for disease control degli Stati Uniti esenta chi è guarito dal Covid dal tampone entro 24 ore dalla partenza, nell’altra tasca ci sono i vecchi esiti del tampone positivo, di quello negativo e soprattutto il green pass europeo da guarigione, una sorta di passepartout che dovrebbe aprire tutte le porte. Tutte tranne quelle dell’America.
“Mi presento al banco del check-in della United e mi dicono che il green pass da guarigione non basta” racconta all’AGI uno studente universitario in partenza per il Nord Carolina, “serve una dichiarazione del medico curante che certifichi che ho il permesso di volare. O, in alternativa, un tampone”. Ma non un tampone qualunque.
Così il nostro studente si precipita nel centro tamponi allestito da Aeroporti di Roma nel Terminal 3 di Fiumicino. C’è un po’ di fila – non è l’unico in quelle condizioni – e inoltre il tampone rapido offerto gratuitamente da Adr per le autorità americane non è abbastanza: ne serve uno particolare che costa 20 euro. Quando gli viene consegnato l’esito corre ai banchi di accettazione, ma è troppo tardi: il check-in è chiuso e il volo perduto.
“Possibile che una lettera firmata da un medico condotto valga più di una certificazione emessa dal ministero della Salute?” protesta lo studente. “È possibile”, spiega all’AGI Francesco Albertario, responsabile dell’ufficio stampa di Adr, “perché ogni compagnia segue le direttive del Paese di appartenenza e, per decreto ministeriale, Aeroporti di Roma può solo verificare la temperatura dei passeggeri all’ingresso nel terminal e che siano in possesso del green pass, ma non può mettere parola sulla sua validità per il volo”.
Il consiglio è di controllare sul sito ‘Viaggiare sicuri’ che a sua volta rimanda alla pagina della Cdc che illustra le regole per entrare negli Usa. Ed è qui che le cose si fanno meno chiare, perché il Cdc esenta sì i guariti dal tampone, ma a condizione che abbiano “il risultato positivo del test su un campione prelevato non più di 90 giorni prima del volo e una lettera di un operatore sanitario autorizzato o di un funzionario della sanità pubblica in cui si afferma che si è autorizzati a viaggiare”. ‘Clear to travel’, letteralmente. Ed è quello che manca nel green pass da guarigione (e anche negli altri) dove in effetti si legge chiaramente che non si tratta di un documento di viaggio.
Cosa fare allora per presentarsi al check-in di un volo per gli Usa senza l’angoscia di un imprevisto? Bisogna che un medico rilasci una dichiarazione in carta intestata con firma e timbro in due lingue in cui sia specificato che si è guariti dal Covid, che non si è più contagiosi e che si può viaggiare. Clear to travel, per l’appunto. E portarsi dietro il referto del tampone positivo e di quello negativo, con buona pace del green pass che serve giusto per entrare nel terminal e per Washington è carta straccia. Il consiglio di chi ci è passato ed è rimasto a terra? “Fatevi anche un bel tampone rapido prima di partire” dice lo studente. Cintura e bretelle, si diceva un tempo.
Source: agi