I numeri (e la qualità) del caseificio San Giorgio di Cividate al Piano: tre sorelle, più la nuova generazione. La filiera cortissima per le grandi quantità e la forma stagionata per 94 mesi
Seppure non del tutto inaspettata, la recente degustazione «verticale» del Grana Padano Dop prodotto dal caseificio San Giorgio ci ha regalato una clamorosa sorpresa, una forma da record nata nel dicembre 2015 e dunque stagionata 94 mesi: profumo intenso dalle mille sfaccettature, granulosità perfetta, croccante ma scioglievole, ricchissimo di tirosina (quei punti bianchi che sono la testimonianza di una stagionatura perfettamente eseguita), sapore di una sapidità poderosa ma tutt’altro che monocorde nel finale ricco infinito di nuances. In una parola: memorabile, a dimostrazione che se lavorato a dovere quello che è ritenuto il fratello minore dei grana italiani (per qualità, non per numero visto che il Grana Padano è il formaggio a Dop più prodotto al mondo) non ha nulla da invidiare al più celebrato Parmigiano Reggiano.
Abbiamo premesso non del tutto inaspettata, perché già alcuni anni orsono avevamo visitato l’azienda che Giorgio Conti, dopo una vita alquanto avventurosa, contrassegnata da una capacità e una lungimiranza fuori dal comune, aprì tra i campi della Bassa bergamasca, a Cividate al Piano. La svolta avvenne al tramonto del secondo millennio, nel 1998, quando decise di valorizzare il latte in una produzione di filiera certificata allestendo il caseificio a fianco della stalla e all’interno della tenuta che può contare su circa 250 ettari di terreni da cui si ricava gran parte del foraggio destinato ad alimentare oltre 2.000 capi di bovini di razza Frisona, la metà costituito da vacche in lattazione.
Nasceva il casello 508/BG, uno dei quattro marchi del Grana Padano «made in Bergamo» (gli altri sono con il 506 quello della Cooperativa di Torre Pallavicina, con il 507 quello di Daniele Invernizzi a Pontirolo Nuovo e con il 509 quello di Chiapparini Giacomo a Romano di Lombardia), ma nettamente il primo in quanto a forme prodotte e soprattutto l’unico anche a livello nazionale a poter contare sul controllo diretto dell’intera filiera produttiva. Ogni giorno da una batteria di 24 caldaie in rame riempite ciascuna con circa mille litri di latte escono per mano del maestro casaro Virginio Bergamaschi una settantina di forme (fate un po’ i conti, significa che ogni giorno vengono lavorati qualcosa come 70 mila litri di latte). Dopo un paio di giorni vengono immerse per due settimane nella salamoia affinché prendano il gusto gradiente di sale. Quindi la stufatura in ambiente caldo e secco ha lo scopo di preparare le forme alla lunga stagionatura sulle altissime ed impressionanti scalere che accolgono circa 35 mila forme in affinamento. Minimo 10 mesi, recita il disciplinare della Dop, ma il Grana Padano firmato San Giorgio rimane ad affinare per almeno 16 mesi, raggiungendo l’apice della qualità tra i 20 e i 24, arrivando come abbiamo avuto modo di verificare durante la «verticale» a stagionature lunghissime, straordinarie anche per gli eccellenti risultati qualitativi.
Eppure nessuno lo sa, nemmeno i consumatori più attenti e gli appassionati gourmet. Motivo? L’azienda non ha un punto vendita diretto e nemmeno ha mai veicolato il Grana Padano Dop con un marchio proprio. Solo distributori che poi lo porzionano e lo confezionano, operazione che rende praticamente impossibile individuare la marchiatura esterna che riporta il numero del casello 508, unico indizio che ne certifica l’origine. «Nostro padre aveva impostato l’azienda così», dice Roberta Conti, che dal 2014 ne ha raccolto l’eredità dividendo proprietà e conduzione con le sorelle Stefania e Daniela (un’altra sorella, Gabriella, si occupa d’altro), altra particolarità da record in un settore che parla quasi esclusivamente al maschile. Una difficoltà ulteriore che le sorelle Conti hanno saputo affrontare portando avanti con determinazione il lavoro impostato dal padre.
«Quando è venuto a mancare — prosegue Roberta Conti — noi tutte eravamo già in azienda con compiti ben specifici. È venuto dunque automatico proseguire senza incertezze. No, l’idea di cedere l’attività non ci ha mai sfiorato. Anzi, abbiamo deciso di investire ulteriormente allargando i magazzini, ampliando e dotando la sala mungitura di nuove attrezzature, sviluppando e portando a termine il progetto di produzione del biogas». Investimenti che guardano ad un futuro che si prospetta ancora in rosa, visto che quattro delle cinque figlie delle sorelle Conti (solo un erede maschio, ancora incerto sul futuro professionale) sono già ben integrate in azienda. «Hanno idee nuove, fresche, figlie della loro generazione. Noi con gli ultimi investimenti abbiano rafforzato le basi, dato solidità e prospettiva (il fatturato annuale si attesta sui 7 milioni e mezzo di euro, ndr). A loro il compito di trovare nuove opportunità e di valorizzare e dare visibilità al marchio di famiglia».
Di Elio Ghisalberti – fonte: https://bergamo.corriere.it/notizie/cronaca/24_febbraio_03/l-impresa-del-grana-padano-tutta-al-femminile-con-70-forme-al-giorno