Dopo aver visitato il cantiere e aver sfiorato le guglie, non viene più da dire ‘duro come il marmo’, perché a guardarlo bene non è per niente forte questo gigante bianco: si fa penetrare dalle piogge acide, si lascia incrostare dai fumi neri della città, permette all’azione del vento di corrodere la superficie. L’imponenza e la durata del Duomo di Milano, sono affidate a mani sapienti, che ogni giorno, in squadre che si alternano in turni di tre mesi, ne tastano ogni centimetro per verificarne le condizioni. Spesso critiche. L’AGI ha visitato il cantiere della Veneranda Fabbrica, che da 630 anni non ha mai smesso di costruire, e non solo mantenere, lo splendore simbolo di Milano. Ora in pericolo anche a causa della pandemia.
Il cantiere e la sua storia
A 70 metri, livello delle Terrazze, fa già molto freddo in una mattina di dicembre, quando l’ingegner Francesco Canali, direttore dei lavori, ci guida in un viaggio tra le 134 guglie (più quella Maggiore) e le decine doccioni (i canali di scolo che se fossimo a Notre Dame si chiamerebbero ‘gargoyles’). E poi anche oltre questo livello, sfidando le vertigini e facendoci arrampicare sull’impalcatura attorno al ‘tiburio’, che è in corso di restauro: “Mentre sistemavamo la guglia principale, quella che sorregge la Madonnina – spiega – abbiamo deciso che era il momento di lavorare anche sulla grande struttura ottagonale che sovrasta l’incrocio tra la navata e il transetto”. Il tiburio ha proporzioni tali che “quando la Fabbrica arrivò alla sua costruzione – i lavori cominciarono dalla facciata principale, quella che dà sulla piazza, per procedere all’indietro verso l’altare – si trovò in difficoltà: sarebbe venuta fuori una cupola così grande e alta che non avrebbe retto.
Allora Ludovico il Moro bandì un concorso internazionale, a cui parteciparono i maggiori nomi dell’epoca, da Leonardo da Vinci, a Bramante. A vincere fu Francesco di Giorgio Martini, che riuscì a risolvere con grande semplicità un problema complesso: una struttura a otto facce”. L’ingegner Canali, che oggi ne parla, è un po’ il suo epigono, destinato a continuare quell’opera. Con uno sguardo da storico più che da matematico, e da umanista più che da scienziato, guarda i trabattelli su cui lavorano gli operai con un misto di soddisfazione e premura: “Finalmente riusciamo a prendercene cura, ma siamo affascinati a preoccupati. Solo di recente siamo riusciti, grazie al Politecnico, a capire come funziona, dal punto di vista statico, questa gran massa di marmo”.
I danni del tempo
Dal 1387, anno in cui Gian Galeazzo Visconti istituì la veneranda Fabbrica, fino ad oggi, la fonte per continuare a costruire la cattedrale è in un punto preciso, a Mergozzo, in Val D’Ossola. Nella ‘cava madre’ di Candoglia, ancora oggi, lavorano 20 cavatori, che estraggono il prezioso marmo bianco. I lastroni, un tempo trasportati attraverso il Naviglio, ora arrivano nel grande laboratorio collocato vicino all’imbocco nord dell’autostrada. Qui le nuove guglie o i nuovi ‘ricami’, vengono lavorati da una trentina di marmisti e scalpellini, e poi ricollocati dove c’è bisogno di sostituzione.
Sorprende infatti che non basta pulire le incrostazioni, talvolta è necessario letteralmente estrarre i pezzi danneggiati irrimediabilmente e piazzarne di nuovi: “A contatto con l’umidità atmosferica il ferro (contenuto nell’aria e proveniente soprattutto dai concimi chimici e dalle emissioni dei riscaldamenti cittadini) ossida, dilata e schianta il marmo da dentro: come un pugno che spacca dall’interno la matrice di carbonato di calcio”.
Altre cattedrali hanno problemi di manutenzione, come San Marco a Venezia o Piazza dei Miracoli a Pisa, ma nessuna, come il Duomo, ha bisogno di tanta cura: “In tutto abbiamo circa 100 operai”, un numero record.
I rischi con la pandemia
Da 3 milioni di visitatori all’anno ad appena 300mila del 2020. Entrate praticamente azzerate durante la pandemia: 23 milioni di euro le perdite stimate. La Veneranda Fabbrica si è sostentata nel recente passato soprattutto grazie al turismo: il boom è iniziato nel 2015, per arrivare alla cifra record di 2,5 milioni di turisti in 6 mesi, in maggioranza cinesi, giapponesi, americani e russi. Il Covid ha però mostrato tutti i rischi di rimanere a corto di risorse. Eppure i lavori non possono interrompersi: “Ci siamo dati un budget di 10 milioni all’anno”, considera Canali. Una cifra che rappresenta “già un compromesso per garantire la sopravvivenza della cattedrale e il contenimento dei costi”. Con meno di questa somma la stabilità della struttura rischia: “Il Duomo e la Fabbrica ne hanno viste ben di peggio, ma le cure ininterrotte devono attraversare i secoli, qualsiasi cosa succeda. Chi ha concepito un oggetto come questo sapeva che non si sarebbe mai dovuto smettere di lavorare”.
C’è voluta allora l’inventiva della comunicazione per stimolare nuove entrate: una Card regalo, che permetterà visite esclusive non appena si potrà riaprire; e stampe con immagini d’archivio, da acquistare con tanto di timbro e ringraziamenti della Fabbrica.
Oltre i secoli
L’unicità del Duomo sta proprio nella sua concezione: “Qui ci sono le radici della nostra cultura: il progresso tecnologico accompagnato ad una fede in qualcosa di fondante”, fa notare l’ingegnere. Che ammette l’emozione di lavorare “in assoluta continuità con gli ultimi 630 anni, e proiettati sui prossimi 630: una prospettiva da un lato spiazzante, dall’altro entusiasmante”. Il perché si può riassumere in breve: un edificio moderno, per quanto strategico come un grattacielo, è fatto per durare al massimo 100 anni. Invece “il Duomo è per sempre, e non può che essere così”.
Vedi: Il gigante fragile. A un passo dal cielo sul tetto del Duomo di Milano
Fonte: cultura agi