C’è un’immagine che più delle altre racconta il primo weekend del calcio giocato a porte chiuse. I giocatori del Borussia Dortmund hanno appena vinto quello che, solitamente, è il partecipatissimo derby della Ruhr. E lo hanno fatto surclassando gli storici rivali dello Schalke 04, nativi di Gelsenkirchen che da Dortmund dista appena 35 chilometri. Il risultato finale è un roboante 4-0 e per festeggiarlo i giocatori di casa hanno iniziato ad applaudire verso la curva. Verso un muro, quello giallo-nero, che da sempre è artefice delle vittorie della squadra tedesca. Un muro oggi fatto di seggiolini, di voci che hanno echeggiato nell’aria provenienti da poltrone e divani.
Secondo il sito americano Axios, quest’immagine non è solo un’eccezione dovuta alla pandemia. Lo sport, che oggi chiude stadi e arene, aveva già iniziato a prendere coscienza di un cambiamento nel modo in cui i tifosi avevano iniziato a percepire e a vivere una partita, un evento, un incontro. E ora, con la paura di contagi e focolai, quell’eccezione sta subendo un’ulteriore accelerazione.
Stadi più piccoli
Le televisioni in ultra HD, i replay sempre più istantanei, i social media invadenti (durante l’ultima Coppa del Mondo sono stati inviati oltre 600 milioni di tweet), le tecnologie come la Var stanno spingendo i tifosi ad accomodarsi sempre più davanti a uno scherzo invece che a un manto erboso o una parquet. L’esperienza casalinga è sempre più immersiva e coinvolgente con un elemento in più: la sicurezza è pressocché totale.
Negli Stati Uniti, ma anche in Europa, gli stadi vengono ripensati: diventano luoghi di “aggregazione”, di condivisione, di acquisto e di gioco. Sono più piccoli (il nuovo stadio della Juventus, ad esempio, supera a malapena i 40 mila posti), più avvolgenti e si fa meno fatica a riempirli. Spuntano i salotti, i box privati, le stanze ad appannaggio di singoli, gruppi o famiglie. Non si va più allo stadio solamente per vedere due squadre che si affrontano ma per vivere un’esperienza sempre più totale. Come un concerto dove si è parte di una bolgia fremente e si sentono le urla spandersi in ogni anfratto. Tutti elementi che il coronavirus ha amplificato, sottolineandone l’evidente, seppur temporanea, pericolosità.
La paura di ritornare allo stadio
Il sito FiveThirtyEight, insieme a Ipsos, ha condotto un sondaggio per capire qual è la volontà reale degli americani di ritornare a godersi un match live. Che sia di Basket, di Football o di Baseball poco cambia. Appena il 25% degli intervistati ha confessato che, se oggi dovessero essere tolte le restrizioni, si recherebbe all’interno di un’arena sportiva. Il 58%, di contro, ha affermato il contrario. Per molti di questi tifosi solo la comparsa di un vaccino, che rimane però ancora all’orizzonte, potrebbe far cambiare loro idea. Il 24% invece, anche in questo caso, rimarrebbe della stessa opinione. L’adozione di mascherine, termoscanner e guanti rappresenterebbero buoni accorgimenti che rischiano però di non essere abbastanza convincenti per far sì che le persone si presentino ai botteghini.
L’assenza di tifo
Ma lo sport non può privarsi così facilmente del rumore generato dagli spalti gremiti. L’ambiente surreale generato dal silenzio è capace di generare prestazioni al di sotto delle normali capacità. Atleti e allenatori si nutrono dell’energia emanata dalle persone che circondano un campo da gioco. Un’altra partita di Bundesliga giocata sabato, quella tra Eintracht Francoforte e Borussia M’Gladbach, ne è per molti un esempio: i giocatori di casa, abituati al sostegno dei tifosi, hanno avuto un approccio alla partita molto molle, quasi si trattasse di un allenamento a porte chiuse e non di un match di campionato. Il risultato? Si sono ritrovati sotto di due gol dopo appena 7 minuti di match. Alberto Cei, psicologo dello sport, interpellato dalla Gazzetta dello Sport lo scorso 6 marzo, ha confermato come il silenzio degli spalti vuoti potrebbe attivare nell’atleta “la modalità allenamento e portare a cali di concentrazione”.
Non è un caso il comunicato firmato da 360 gruppi ultrà di tifoserie italiane e straniere, principalmente spagnole, francesi e tedesche, che insiste per uno stop definitivo ai campionati di calcio. “I governi hanno dichiarato il lockdown totale, tutelando così la cosa più preziosa che abbiamo: la salute pubblica. Riteniamo più che ragionevole lo stop assoluto del calcio europeo. Invece chi lo gestisce ha espresso un solo obiettivo: ripartire. Siamo fermamente convinto che scenderebbero in campo solo ed esclusivamente gli interessi economici. Lo conferma il fatto che i campionati dovrebbero ripartire a porte chiuse, senza il cuore pulsante di questo sport popolare: i tifosi”.
Una posizione condivisa a molti allenatori e staff. Pep Guardiola, ad esempio, sarebbe contrario a questa modalità: “Se le persone non possono venire allo stadio, non ha senso giocare. Faremo ciò che ci dicono, ma non mi piacerebbe giocare senza pubblico né in Champions né in Premier League”.
Di altro avviso sembra essere Jurgen Klopp, allenatore del Liverpool, che invece alla Bbc ha detto: “Tutti abbiamo cominciato a giocare senza tifosi attorno e amiamo il calcio non per l’atmosfera che c’è nello stadio. Dovremo giocare a porte chiuse per qualche mese, si spera, ma questo non significa che il calcio non sia più quel meraviglioso gioco che è”.
Le nuove tecnologie e il rumore artificiale
Secondo John Kosner, ex dirigente di Espn ora rinomato consulente sportivo, questa nuova era potrebbe essere significativa per lo sviluppo di nuove tecnologie. “La realtà aumentata utilizzata per coprire i posti vuoti” con i rumori reali della folla, anche quella in remoto, diffusi in tutto lo stadio “per portare all’interno vista, suono ed emozione”. Un po’ quello che accade, dal punto di vista dell’interattività in piattaforme come Twich. “Ciò che mi rende ottimista è che avremo alcune buone idee” per migliorare la fruizione dello sport “e che usciremo da questo periodo oscuro con una maggiore consapevolezza di quanto siano importanti i fan”.
Anche Mark Miller, CEO di TicketSocket, è sulla stessa lunghezza d’onda immaginando per il futuro lo sviluppo di campionati più innovativi e che si baseranno “sulla vendita di posti singoli di natura digitale tramite la realtà virtuale”.
Harvey Schiller, tra le altre cose Executive Director del comitato olimpico degli Stati Uniti, ha affermato alla Cnbc che i team, in un periodo di mancate entrare al botteghino, dovranno “essere creativi”. E anche quando i tifosi potranno tornare nelle arene, “dovranno cambiare per una nuova generazione di fan” che si saranno abituati a vivere lo sport anche in maniere alternative. Magari trasformando il divano in una vera curva da stadio o trasformando definitivamente quei luoghi dove il tifo è sempre stato “di casa”.
Vedi: Il futuro dello sport a porte chiuse
Fonte: sport agi