IL DIVARIO CHE PESA SUI SALARI


Di Sergio Talamo

Nella Repubblica fondata sulla Polemica, accade che un’offerta di lavoro faccia volare parole forti come “sfruttamento”. La storia è semplice. Un locale di Bari pubblica un annuncio in cui si cerca un ragazzo o una ragazza, «anche senza esperienza», disposto a lavorare nei weekend dalle 20 in poi per 300 euro al mese. Non è un’offerta che fa saltare di gioia, ed è anche priva di dati sull’entità effettiva del lavoro. Ma più che richieste di informazioni, provoca indignazione. La deputata dei Verdi-sinistra Elisabetta Piccolotti fa due conti: il giovane in questione verrebbe pagato 75 euro a weekend, quindi 37,5 euro a giornata, che diventano 30 se nel mese i week end sono 5. «Può capitare che il ragazzo o la ragazza siano un uomo o una donna che rinunciano ai loro progetti per una paga da fame. Non si tratta di lavoro ma di sfruttamento. Per questo combattiamo per il salario minimo e il reddito universale garantito». Da qui parte un vivace scontro social.
Le battaglie sul salario minimo e sulle retribuzioni dignitose sono una cosa seria. Proprio per questo non andrebbero legate a casi di dettaglio che possono essere o non essere convenienti ma sono “in chiaro”. Per un giovane che si mantiene agli studi, ad esempio, può essere utile integrare le entrate con quella somma, che le mance del resto possono anche raddoppiare. Ma soprattutto ciò fa parte della normale dinamica di mercato, che prevede di esaminare possibilità diverse e calibrate su condizioni di vita, esigenze e aspettative non uniformi.
Il problema reale non è nell’annuncio di un locale qualsiasi, ma nel divario strutturale fra il mercato del lavoro del Nord rispetto al Sud e dello scarto di reddito tra i lavoratori. Secondo Bankitalia siamo a circa il 28%. Un gap dovuto al traino di un’economia che solo in alcune aree geografiche è in condizione di garantire retribuzioni alte, e che rischia di essere accentuato dal «far west dell’autonomia differenziata» (by Antonio Decaro). Una deriva che segue all’aumento della distanza Nord-Sud che si è accentuata in modo consistente dopo la crisi del 2011, e nel triangolo soffocante lockdowncrisi energetica-inflazione. Oggi nel Mezzogiorno vive un terzo della popolazione italiana ma viene prodotto poco più di un quinto del Pil, e al Sud si origina appena un decimo delle esportazioni nazionali. Ogni ambizione a fissare per legge salari e retribuzioni dovrebbe fare i conti con questi dati. Altrimenti, fuori dal salotto elegante in cui se ne discute, ci saranno sempre tanti che vedranno come una fortuna 300 euro per quattro weekend a servire ai tavoli, rispetto al nero del lavoro irregolare o al nulla.

Fonte: Corriere del Mezzogiorno