di Danilo Di Matteo
La riforma dei programmi scolastici impostata dal ministro Giuseppe Valditara rappresenta un tentativo egemonico delle destre italiane assai più insidioso di quello a suo tempo incarnato da Gennaro Sangiuliano. Ospite di Bruno Vespa, icona dell’Italietta, il titolare dell’istruzione e del merito è giunto a citare Antonio Gramsci, a proposito della possibilità che il latino aiuti nell’apprendimento e nell’acquisizione delle capacità logiche.
D’altronde spesso si leggono critiche maldestre ai nuovi programmi ministeriali.
Se il quesito è: è utile e formativo il latino, pur facoltativo? È opportuno leggere in classe passi biblici, accanto a brani tratti dall’Iliade, dall’Odissea o dall’Eneide? O, più in generale: vanno colte e approfondite le radici della nostra civiltà?, la risposta non può che essere affermativa, a dispetto dei detrattori. Il problema autentico è l’inquadramento, la cornice, la donazione di senso, il significato attribuito a quei brani. Nelle intenzioni della destra – ecco il succo della controriforma – si vogliono celebrare i tratti identitari del nostro Paese e del nostro mondo. Lì si annidano l’imbroglio, il bluff, la mistificazione. L’Odissea, ad esempio, esprime nel modo più alto lo spirito di ospitalità dei popoli del Mediterraneo. Si guardi, poniamo, all’episodio paradigmatico di Ulisse nell’isola dei Feaci: gli isolani sanno accogliere lo straniero, il profugo. I popoli del mare conoscono e applicano le leggi non scritte del mutuo soccorso: uno dei cardini sui quali si fonda la civiltà mediterranea. Il contrario della chiusura identitaria. L’identità, intesa come “purezza”, è una pericolosa e folle illusione: si guardi pure alla vicenda di Enea, tra l’Asia Minore, il Nord-Africa e Roma. È il meticciato la cifra delle civiltà (al plurale). L’Occidente, del resto, nasce già policentrico: Atene, Gerusalemme, Roma, Alessandria d’Egitto. E la sua nascita può esser compresa solo tenendo conto delle influenze orientali. La prima scuola della filosofia occidentale, non a caso, quella ionica, geograficamente si situa nell’attuale Turchia. E potremmo continuare a lungo.
E, per rendere il senso dell’egemonia, aggiungo che i nostri nonni, in epoca fascista, studiavano il Risorgimento con le lenti del ventennio: non come l’affermazione di fermenti liberali e democratici, bensì come l’inizio della realizzazione di un progetto nazionalista. Una visione assai distante, per dirne una, da quella di Antonio Labriola. E proprio Gramsci – che a proposito dello studio del Risorgimento cita anche Nello Rosselli – aveva compreso ed esposto mirabilmente tali dispositivi egemonici, con le loro insidie e trappole.
Insomma: non conta solo ciò che viene proposto ai ragazzi (e agli insegnanti), quanto lo spirito con il quale quelle fonti vengono presentate. Alla sinistra il compito di mettere meglio a fuoco le possibilità che un materiale didattico e formativo adeguato incarni lo spirito inclusivo, globale, dialogante sempre più necessario in un mondo divenuto incredibilmente piccolo, complesso e interconnesso.