Il diritto violato delle donne


di Claudia Fresta – responsabile nazionale Confedercontribuenti per la parità di genere

Grazie ad un emendamento di Fratelli d’Italia al Decreto PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), approvato ad aprile scorso, le porte dei Consultori Familiari saranno aperte ai volontari ProVita, evento che comporterà un orientamento ideologico degli spazi che dovrebbero invece rimanere neutrali e professionalmente imparziali da qualsivoglia agenda politica o religiosa.
Se, prima dell’emendamento, le associazioni ProVita avevano la possibilità di accedere ai consultori attraverso una serie di meccanismi già previsti dalla Legge 194, ma molto limitati, da questo momento in poi viene esplicitamente menzionata la possibilità per le Regioni di consentire l’ingresso di associazioni ProVita nei Consultori, purché non ci siano “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. La decisione è stata ovviamente accolta con favore dalle Associazioni del terzo settore contrarie all’aborto, creando invece malcontento tra chi teme giustamente la messa in discussione della legalizzazione dell’Igv: questo emendamento difatti delinea un’importante regressione in termini di libertà individuale e diritti umani, indebolendo la fiducia delle donne nel trovare sostegno e assistenza imparziali. I consultori rappresentano un servizio unico e super partes per la tutela della salute della donna, dei bambini e degli adolescenti, svolgendo una funzione senza pari di informazione a supporto della prevenzione e del benessere fisico e mentale di chi vi si rivolge. I membri delle associazioni Pro Vita potrebbero non avere, tra l’altro, le qualifiche o le competenze necessarie per fornire consulenza e supporto appropriati ed equanimi.
La libertà di abortire è già di per sé un vero e proprio calvario per tantissime concittadine: l’autonomia regionale in ambito sanitario ha creato profonde disparità in Italia nella pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza. Ad esempio, nonostante la legge permetta l’aborto farmacologico in regime ambulatoriale, questo è consentito solamente in tre regioni su venti. Altra importante problematica deriva dall’ampia e varia interpretazione che riguarda l’obiezione di coscienza, citata nell’articolo 9 della Legge 194. Da principio prevista per rispettare, qualora ve ne fossero, i dilemmi etici di operatori sanitari e ginecologi chiamati a intervenire durante un aborto in ospedale, l’obiezione di coscienza è arrivata a riguardare più del 60% dei ginecologi e quasi il 40% degli anestesisti in Italia.
Tra l’altro, i consultori annoverano già tra le loro mansioni quella di fare prevenzione sulla Igv e aiutare chi invece decide di portare avanti una gravidanza: vi lavorano svariati professionisti come psicologi, assistenti sociali e ginecologi che, oltre a prestare ovviamente assistenza medica e psicologica, indirizzano le donne verso associazioni ed enti che le possano aiutare a livello concreto; tutto nel rispetto della autodeterminazione delle donne e dei principi di laicità del nostro sistema giuridico! Purtroppo, però, la carenza di personale e i finanziamenti insufficienti fanno sì che, praticamente in tutte le nostre città, ormai i consultori siano aperti solo pochi giorni a settimana e in molti centri minori siano scomparsi quasi del tutto; sarebbe quindi più opportuno potenziare personale e servizi, che in ogni caso dovrebbero essere previsti per legge, piuttosto che emanare provvedimenti che ledono la libertà e l’autonomia decisionale delle donne.
In un momento storico in cui l’aborto rientra nell’agenda politica europea con la proposta di inserire l’interruzione di gravidanza nella Carta dei Diritti Fondamentali, l’Italia fa un triste passo indietro.