Il diritto di scegliere: l’eutanasia come richiesta di libertà


In quest’articolo si legge di una triade caratterizzata dalle parole sofferenza, scelta e libertà. Termini forti, importanti che caratterizzano, in modi diversi, la vita di ognuno in modo così intimo e personale tale da non poter essere giudicato da altri. Se nessuno di noi sceglie di essere messo al mondo, ciascuno di noi dovrebbe decidere almeno come andarsene

 

di Angela Medda

Mi trovavo davanti ad un bivio, e ho dovuto scegliere se percorrere una strada più lunga che però mi avrebbe portato all’inferno, o una più breve che mi avrebbe portato qui, a Basilea”.
Cosi Elena, con queste parole, pronuncia un breve ma significativo discorso, le sue ultime volontà registrate e trasmesse pubblicamente affinché potesse esprimere la sua scelta, difficile, sofferta ma libera, di porre fine al proprio percorso di vita.
Elena, 69 anni, il 2 agosto del 2022 ha scelto liberamente di recarsi in Svizzera presso una clinica di Basilea, accompagnata da Marco Cappato, politico e attivista italiano, affinché potesse aiutarla a concretizzare quell’idea che, a seguito di una diagnosi di microcitoma polmonare avuta un anno prima, si era fatta strada nei suoi pensieri.
Come risaputo, in Svizzera esiste una pratica chiamata ‘suicidio assistito’ o eutanasia, parola di matrice greca dal letterale significato di ‘buona morte’, che ha come fine ultimo quello di procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di una persona la cui qualità della vita risulta compromessa da una patologia medica o psichica.

In Svizzera il suicidio assistito è quindi permesso e legalizzato, a differenza dell’Italia, in cui tale pratica è attualmente illegale e costantemente soggetta a dibattiti sociali, politici e medici. Per tale ragione si sono cercate altre possibili strade o soluzioni, tra cui l’ausilio di cure palliative o ‘l’assistenza al suicidio’, secondo cui il paziente si auto-induce il suicidio attraverso medicinali e sotto la supervisione del personale medico. Tramite queste pratiche si evitano quei nodi legali che caratterizzano quest’attività, e le possibili conseguenze che ne derivano. Perciò si tratta da sempre di un discorso delicato e controverso, in cui il fulcro centrale dovrebbe basarsi solo sulla libertà di scelta del soggetto interessato, di poter decidere sulla propria vita e anche sulla fine di essa; in realtà, questo concetto di libertà viene nascosto e soffocato da tanti altri motivi, i quali possono essere di origine politica, religiosa o socio-culturale.

Sulla riva opposta, invece, ci sono coloro che urlano e si focalizzano ‘solo’ sul diritto di scelta del singolo, di libertà e di liberazione dalla sofferenza. Una sofferenza che non permette una vita semplice, serena o semplicemente voluta.
E allora qui la domanda sorge spontanea: è preferibile vivere una vita caratterizzata dal dolore, ma viverla fino all’ultimo attendendo che scivoli via secondo un tempo previsto dal corpo malato, o accelerare un processo che tanto avverrebbe comunque naturalmente ma evitando la pesantezza della malattia, sia fisica che psicologica, sapendo di avere comunque una forma di controllo e di scelta su di essa?

Ecco il quesito che si è posta Elena. Ecco il quesito che si pongono in tanti, quel pensiero che si forma nella mente di tutti coloro che si trovano davanti ad una situazione già difficile di per se, e dalla quale vorrebbero solo trarre sollievo.
La vita vale sempre la pena di essere vissuta? Ma soprattutto, chi ha diritto di scelta sulla propria? Se la vita viene considerata un dono, bisogna anche considerare che nessuno sceglie di essere messo al mondo, è una cosa che capita, una scelta fatta da altri che porta all’esistenza di ciascuno. Si può quindi pensare che la vita sia sacra, e come tale andrebbe rispettata. Ma al
tempo stesso dovrebbe essere sacra e rispettata anche la morte, in quanto conclusione di un percorso importante: in questo articolo si è formata una triade, caratterizzata dalle parole sofferenza, scelta e libertà, termini forti, importanti che caratterizzano (in modi diversi) la vita di ognuno di noi in modo così intimo e personale tale da non poter essere giudicato da altri.
Per tale ragione, se nessuno di noi sceglie di essere messo al mondo, ognuno di noi dovrebbe decidere almeno come andarsene. È comunque sacro.

 

(Nella foto: Clint Eastwood e Hilary Swank in una scena del film Million Dollar Baby, diretto e prodotto nel 2004 dallo stesso Eastwood)