Il difficile mestiere di vivere nella zona rossa di Salemi


​Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi, direbbe Cesare Pavese. Il tempo scorre uguale, lento e faticoso in questo ‘mestiere di vivere’ al tempo dell’epidemia. Entrare a Salemi non è semplice. Gli ingressi presidiati dalle forze dell’ordine filtrano personale in camice bianco, agricoltori e allevatori. I carabinieri mostrano la paletta a tutti gli automobilisti in arrivo e in uscita dall’autostrada.

Pochissimi vengono rispediti indietro, ognuno ha una ragione per lasciare o entrare i paese. In questo suggestivo paese del Trapanese, la piazza centrale è letteralmente deserta, con un silenzio rotto dalla fontanella d’acqua rimasta operativa. Dallo scorso 23 marzo la cittadina trapanese rientra tra le “zone rosse” siciliane, in cui è fatto “divieto di accesso e di allontanamento”.

Da alcuni giorni è andato in pensione anche lo storico comandante della polizia municipale, che dopo trentasei anni di lavoro continuerà per almeno altri quatto mesi a monitorare le viuzze a bordo della sua automobile, con la divisa ancora addosso. Le fila stringate all’esterno dei supermercati sono l’unico segnale che il paese è ancora abitato.

​Il Comune ha messo a disposizione dei voucher, andati esauriti in pochi giorni. Lunedì partirà la distribuzione dei buoni spesa finanziati con 96.358 euro impegnati dal governo centrale. Poi verrà il momento della spartizione dei contributi provenienti dalla Regione. “Abbiamo un caseificio e chiediamo a tutti di comprare siciliano, di comprare i nostri prodotti”, racconta all’AGI uno degli imprenditori che aderiscono al consorzio “La vastedda della Valle del Belice” che dal 2007 ha ottenuto il marchio dop.

“Molti venivano fisicamente in azienda ad acquistare, continuiamo a distribuire ai supermercati locali, ma abbiamo perso almeno il 40% del fatturato”, racconta.  Nonostante le ulteriori restrizioni – stabilite dalla Regione – c’è molta preoccupazione per le lunghe attese tra l’esecuzione dei tamponi e l’esito elaborato dai laboratori. “Da due settimane aspettiamo l’esito di venticinque tamponi, tra cui tre di malati oncologici che hanno dovuto sospendere le cure: basterebbe una firma dell’assessorato”, dice il sindaco Domenico Venuti, giovane al secondo mandato. 

Sin dall’inizio dell’emergenza è operativo il laboratorio di analisi del Policlinico di Palermo. Nei giorni scorsi l’Asp di Trapani ha trasformato l’ospedale Paolo Borsellino di Marsala in Covid Hospital, attivando anche il laboratorio di biologia molecolare del nosocomio marsalese, omologato per eseguire i tamponi per la diagnosi del virus, con una frequenza di 100-120 al giorno.

“In pratica è stato chiuso pochi giorni dopo per la mancanza dei reagenti e siamo nuovamente bloccati – denuncia il primo cittadino – tra l’altro il concentramento in due laboratori non è stata una scelta felice, così si è creato un accumulo di casi che via via si sono manifestati sempre di più”. Il picco dei tamponi, per volontà del governo regionale, ha riguardato anche una parte delle persone rientrate dal Nord.     

“Siamo partiti con un’attesa di ventiquattro ore, poi si è allungata fino ad oltre una settimana”, aggiunge il primo cittadino. Tra le persone che attendono l’esito anche tre malati oncologici, per cui le strutture sanitarie hanno interrotto le cure sanitarie (comprese le sedute di chemioterapia) in via cautelativa.

“Ho interessato il prefetto, l’Asp, l’autorità sanitaria regionale, ma ad oggi nessuna risposta – continua Venuti – credo che sia inaccettabile lasciare gente che ha necessità di una terapia salvavita, bloccata in casa. Ci stiamo trovando davanti a molti problemi difficili da risolvere, ma questa potrebbe essere risolta anche con una singola firma o con un singolo provvedimento dell’assessorato regionale per autorizzare queste visite specialistiche. Non mi fermerò e sono disposto anche ad azioni eclatanti, che preferirei evitare”.

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Fonte: cronaca agi