di Antonello Longo
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In politica, come nella vita, i nodi, prima o poi, vengono al pettine. Al di là delle vicende contingenti che hanno precipitato il Movimento nell’assoluto marasma, i Cinquestelle pagano l’estrema difficoltà di passare, in tempi brevi, dalla protesta alla proposta, dalla propaganda alla capacità di esprimere cultura politica, dalla demagogia populista ad una solida cultura di governo. Una parabola di dissoluzione già vista altre volte nella storia repubblicana e che, c’è da temere, vedremo ancora nel prossimo futuro.
Nel centrodestra la frattura tra i Fratelli d’Italia della Meloni e la Lega di Salvini, come il timido tentativo dei berlusconinani di Forza Italia di recuperare un ruolo autonomo, potrebbero (le ricomposizioni di facciata sono sempre dietro l’angolo) spazzare via l’equivoco di fondo del definire “alleanza” e “coalizione” la sommatoria di forze politiche collocate sulle sponde opposte del governo e dell’opposizione.
C’è un’evidenza che non si può negare (se non con l’elevata dose di faccia tosta di gran parte della politica e dei mass media): in Italia non ci sono le condizioni per affermare un sistema politico bipolare ed i ripetuti tentativi di crearlo surrettiziamente attraverso la manipolazione delle leggi elettorali sono fra le cause principali della crisi della rappresentanza e del degrado della politica.
Il fallito tentativo di trasformare l’elezione del Presidente della Repubblica in un confronto tra schieramenti contrapposti, per consolidare o far crollare il governo Prodi, per ricevere il viatico verso un’altra campagna elettorale all’insegna del finto bipolarismo, porta a valutare la delicatezza e la decisiva importanza del ruolo del rieletto inquilino del Quirinale.
Mattarella è stato e sarà un buon presidente, misurato, compito, ligio alla Costituzione, capace di valorizzare le competenze che la Carta gli attribuisce (gli italiani ormai hanno capito che queste non sono poche né irrilevanti) e, soprattutto, di non travalicarle. È sbagliato (o, meglio, è capzioso) vedere nel suo discorso d’insediamento un accenno di semipresidenzialismo. Si è trattato, invece, di un alto richiamo a concepire la Costituzione come baluardo dei valori da porre a fondamento della convivenza nazionale, come garanzia dei cittadini nei confronti della legislazione e della funzione di governo. L’elenco puntuale delle urgenze del Paese è un monito che rientra perfettamente nelle funzioni costituzionali del presidente, che può ispirare l’agenda politica ma non è un programma di governo, che deve invece contenere misure concrete, scelte di politica economica da adottare per portare i problemi a soluzione.
Per il modo in cui è stato rieletto, questo siciliano rigoroso e austero, studioso del parlamentarismo, ex giudice costituzionale, è chiamato ad essere un Presidente della Repubblica grande nella difesa attiva di tre capisaldi: il corretto equilibrio tra i poteri costituiti, la salvaguardia dell’unità della nazione mantenendo un equilibrio perequativo tra i livelli territoriali che, insieme, costituiscono lo Stato, la rappresentatività del sistema politico come espressione della sovranità del popolo. Nella fase che stiamo vivendo tutti e tre questi elementi sono fortemente a rischio.
La foga “riformatrice”, che fonda su reali necessità, si muove su un crinale scivoloso: da un versante c’è il desiderio di rendere la democrazia più “moderna” (meno discussioni, più decisioni) e lo Stato più funzionale e meno costoso, dall’altro il rischio di un eccesso di “disproporzionalità” nel sistema, di un’attenuazione del controllo democratico, di un inopinato scollamento della coesione nazionale.
Non mi aspetto dal Presidente Mattarella azioni clamorose, che pure sono in suo potere, come il rimandare leggi economiche o di riforma, se ritenute sbagliate, all’esame del Parlamento, il diniego di promulgare decreti immotivati, il rivolgere solenni appelli al Parlamento, e quindi alla nazione, lo scioglimento anticipato della legislatura quando ne ricorrano le condizioni. Da un cattolico osservante di scuola morotea mi aspetto, invece, una preventiva attività moderatrice, una “moral suasion” discreta ma decisa e permanente per limitare eccessi e furberie, per mettere un freno alla formidabile, antica ma sempre straordinariamente attraente impostura per cui meno democrazia equivale a più efficienza ed onestà.