IL COLLEZIONISTA DI CARTE


Nelle sale l’ultimo film di Paul Schrader, in questi giorni presentato in concorso alla 78.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia diretta da Alberto Barbera

di Franco La Magna

Un asettico, glaciale, impassibile “Collezionista di carte” (2021), è il protagonista dell’ultima opera di Paul Schrader (regista, sceneggiatore e critico cinematografico USA), presentato in concorso al Festival di Venezia 2021, in questi giorni in pieno svolgimento nella città lagunare. Sul tappeto tutti i temi preferiti del regista-sceneggiatore del Michigan: la colpa e la redenzione, il rapporto dell’uomo con la propria morale, il percorso di affrancamento, di liberazione, che (in questo caso) non può eludere la necessità della violenza, compiuta come atto finale per giungere ad una fine catartica.
Il protagonista (un giocatore professionista di giochi d’azzardo) – tormentato da un passato inenarrabile – alla ricerca di redenzione, troverà forse la sua pace solo dopo la vendetta e la conseguente autodenuncia. Nella chiusa con le due dita dell’uomo e della donna che non possono toccarsi, perché divise dall’impenetrabile vetro della prigione, un barlume di speranza e di possibile futura esistenza.
Oscar Isaac, nei panni di Tell il protagonista, diretto da Schrader (considerato uno degli artisti di punta della nuova Hollywood, tra i film più noti da lui sceneggiati Taxi Driver, Hardcore, American Gigolò, Toro scatenato, L’ultima tentazione di Cristo) raffredda le emozioni offrendo allo spettatore il suo sguardo impenetrabile, enigmatico, contrapponendolo a quello più passionale del personaggio di Cirk (Tye Sheridan), anch’egli in cerca di vendetta, mentre Linda (Tiffany Haddish), unico personaggio femminile della storia, veste i panni dell’unico elemento salvifico di Tell.
La scelta stilistica di eliminare ogni phatos rendendo la narrazione antispettacolare delude forse le attese della platea, ma elimina nel contempo l’artificio della facile emozione umana a vantaggio di quella estetica, mostrando l’estrema maturità artistica di Schrader, poco disposto a concessioni plateali, che il film lo ha scritto e diretto. L’uso morigerato del fisheye (grandangolo o occhio di pesce) usato per i disturbanti flashbach imprime alla narrazione raggelanti momenti di forte impatto visivo.