Con l’avvicinarsi dell’autunno l’allarme sociale, come d’incanto, non è più rappresentato dalle condizioni dei detenuti.
Trattandosi di soggetti in conflitto con la legge, le loro necessità cedono il passo ad altre e più nobili priorità. Si abbandona così l’emergenza carcere e si ricomincia a parlare, in generale, di riforma della giustizia. In realtà, più che discutere di massimi sistemi, basta analizzare un dato incontestabile: gran parte della popolazione detenuta è privata delle prestazioni minime essenziali. In altre parole il livello di assistenza è sceso così in basso da compromettere i diritti umani fondamentali.
Molte voci autorevoli invocano la dignità della persona. Tra queste quella di Papa Francesco che in più occasioni, dal discorso all’associazione internazionale dei penalisti al vertice dei giudici panamericani e durante le visite ai carcerati detenuti in Italia e nel mondo, ha ribadito due concetti essenziali. Innanzitutto la cautela nell’applicazione della pena quale principio che regge i sistemi penali. In secondo luogo l’inviolabilità del principio pro homine secondo cui gli Stati non possono subordinare il rispetto della dignità umana della persona a qualsiasi altra finalità, anche quando si tratti di utilità sociale. Quanto al populismo penale, il Papa sottolinea come si sia diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per diverse malattie si raccomandasse la medesima medicina. Secondo Bergoglio la funzione sanzionatoria ricade sui settori più vulnerabili in quanto la sanzione penale è selettiva: “come una rete che cattura solo i pesci piccoli”. Riflessioni acute che smuovono le coscienze. Del resto, per avere contezza dell’arretramento sul piano dei diritti delle carceri italiane basta visionare i rapporti del Garante nazionale degli ultimi sette anni.
Se, da un lato, è giunto il momento di costruire un modello alternativo al carcere, non può disconoscersi, dall’altro, l’urgente necessità di garantire ai detenuti condizioni di vita umanamente e giuridicamente accettabili. Le ricerche comprovano ormai gli effetti nocivi di un sistema carcerario non equilibrato o malato. Le neuroscienze hanno accertato che la deprivazione, l’isolamento, il sovraffollamento e i fattori di contaminazione dell’ambiente carcerario (inquinamento acustico, sistema fognario, smaltimento dei rifiuti, qualità dell’acqua, presenza di amianto e piombo, schermature) generano deficit cerebrali e comportamentali, ostacolando i cambiamenti positivi dell’individuo. La ricerca neuropsicologica ha rilevato, altresì, che le funzioni cerebrali importanti per la riabilitazione diminuiscono dopo tre mesi di detenzione. La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo ha messo in guardia circa gli effetti negativi di un regime di detenzione impoverito.
Immaginare luoghi nuovi e diversi che non comprimano i diritti e la dignità della persona, sostituendo o trasformando il carcere attuale, significa quindi ridurre il tasso di recidiva e contemperare più esigenze: umanizzazione, rieducazione e sicurezza.
Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale Regione Calabria