Il campione di scacchi in trincea per la sua Ucraina


Igor Kovalenko è stabilmente nella top 100 mondiale. Ma dal 2022 si è arruolato per difendere la sua patria dall’invasore russo. All’AGI spiega cosa si dovrebbe fare per arrivare alla pace e confessa: “Non tornerò più a essere un giocatore attivo”

AGI – “Quasi 11 mesi nell’esercito. Più di 150 giorni nella regione di Donetsk e 160 giorni di servizio quotidiano. Ma anche qui trovo il tempo di giocare a scacchi”. Igor Kovalenko, 34 anni, è uno degli scacchisti più forti di Ucraina ma dal 2022 è ormai costretto a giocare solamente online, mentre difende il suo Paese dall’invasione russa.

Kovalenko gioca anche se intorno infuria la guerra e la connessione svanisce e riappare. Anche in trincea o dopo lunghi spostamenti, un’avanzata o una ritirata. Una mossa di pedone, un’infilata, un arrocco. Non importa. Gioca mentre tutt’intorno risuonano le sirene antiaeree perché gli scacchi, a differenza del fucile che ha imparato a usare solo negli ultimi mesi, sono nel suo Dna.

Quel primo bilancio di vita militare lo pubblica su X (ex Twitter) il 10 aprile, insieme a un primo piano strettissimo del suo viso. Barba lunga, divisa da guerriero, sguardo duro e fiero. Alle sue spalle si intravede una specie di trincea improvvisata, il filo spinato, le travi. In alto risplende il cielo azzurro.

Se si guarda alla classifica FIDE, la federazione internazionale degli scacchi, Kovalenko è ancora oggi il numero 61 del mondo con un punteggio di 2674 punti Elo. In Italia sarebbe il numero uno indiscusso, per distacco. Allo stesso tempo, come se esistessero due persone differenti, Kovalenko è anche uno dei volontari che si sono arruolati nelle forze armate ucraine.

Fa parte del corpo dei genieri. Si occupa, cioè, di organizzare il passaggio delle truppe in territori pericolosi, di costruire un sistema di comunicazioni tra i vari reparti, di scegliere i luoghi più adatti per i campi base. A volte apre nuove vie, aggiusta collegamenti, ripara ponti, studia soluzioni per attraversare luoghi e insidie. Si muove, quando può, di continuo.

Ma accanto a tutto ciò, esiste un terzo Kovalenko: il cappellano. L’uomo di fede a cui si rivolgono i compagni d’armi per comprendere il significato di ciò che accade in guerra, delle perdite, della morte, che provocano e a cui assistono. È la figura che ascolta la loro disperazione e diffonde coraggio attraverso la sua incrollabile spiritualità.

Questo ‘triplice’ Kovalenko non ha mai smesso di raccontarsi, in queste vesti, sui suoi profili social. Twitter, Instagram, Facebook. Persino Telegram dove compaiono versi, passaggi di fede e parabole. La sua testimonianza è ovunque. E scorrendo le sue foto e i suoi ‘post’ sembra di rivedere la cronistoria degli eventi che hanno caratterizzato il conflitto in Ucraina nell’ultimo anno e mezzo. Le notti nei casolari abbandonati o in altri ripari di fortuna, i compagni di avventura, i civili soccorsi.

E accanto, però, gli screenshot del suo profilo scacchistico sulla piattaforma Chess.com: i suoi progressi nel punteggio, i tornei online che riesce a giocare quando può, i commenti su campioni come Magnus Carlsen.

Kovalenko non pensava di arruolarsi nell’esercito: cercava solo un modo per essere utile a Kiev e portare aiuto alla popolazione colpita dai missili russi. La sua unica volontà, come confessato al portale ucraino Censor, è sempre stata quella di rimanere e “vivere” nella Capitale ucraina, nonostante le minacce costanti.

Poi le cose sono andate più veloci di quanto si aspettasse: “Visita medica, uno zaino, l’addestramento e.. sono diventato un soldato”. Lui, figlio di colonnello (“mi ha dato molti consigli”), con altri due fratelli già arruolati fin dall’inizio, da quel 24 febbraio del 2022 che ha stravolto tutto. “I miei genitori sono ancora preoccupati”, ha spiegato a Censor, “ma mi hanno sempre sostenuto”.

Ciao Igor, posso farti qualche domanda?

Il contatto tra noi arriva via Instagram. È facile capire come sia quasi impossibile sentirsi a voce. Uno scambio di mail diventa allora la strada migliore per provare a chiedere una piccola intervista. “Sarò felice di risponderti, almeno finché avrò il tempo per farlo”, mi scrive. Il tempo è un fattore che in guerra si annulla. Può cambiare tutto, da un momento all’altro. Non c’è un orario, una data sul calendario. Quelle domande potrebbero rimanere incompiute, senza alcuna risposta.

Per fortuna non è così. Appena due giorni dopo arriva un nuovo messaggio, con una premessa: “Ti ho scritto in russo, in modo che puoi tradurre in maniera più accurata”. Le parole sono importanti, soprattutto quando si parla di patria e di guerra, di futuro, di aiuti internazionali. Di Putin. Il russo, del resto, è la lingua dei libri di scacchi, delle sacre scritture e degli altri oggetti con cui Kovalenko è cresciuto. Con cui molti ucraini, come lui, sono cresciuti.

Davanti a me ho una cartina dell’Ucraina mentre Kovalenko spiega di trovarsi “da febbraio vicino ad Avdiivka”. È un polo industriale nel sud-est dell’Ucraina, poco più di 30mila abitanti. “Non mi è difficile da qui vedere Donetsk. Qui si combatte per ogni metro perciò la linea del fronte è rimasta quasi invariata per mesi”. Una situazione vicina allo stallo.

A metà settembre, però, Kovalenko si era concesso una pausa per recarsi a Kiev e ricevere, dalle mani del presidente Zelensky, il riconoscimento del governo, durante per il suo ‘coraggio’ e la sua tenacia in prima linea. Il tutto durante un evento per festeggiare il capodanno ebraico. La fede, incrollabile, ancora una volta.

Una foto dei due, ovviamente sui social, testimonia tutto. Subito dopo però Kovalenko riparte per tornare verso Donetsk e le zone più instabili del suo Paese. Il conflitto appare ancora lungo e le trattative di pace sono lontane dal fare progressi.

“Sembra difficile da credere, ma siamo in guerra non solo contro l’inaffidabile Putin, non solo contro le inaffidabili autorità russe, ma contro una Russia interamente inaffidabile”. Pertanto, è impossibile “porre fine alla guerra” con solo “strumenti morbidi”. Sulle sanzioni internazionali contro Mosca il suo giudizio è ancora più severo: “È ormai chiaro come abbiano deluso le aspettative”.

L’esercito di Kiev, secondo lo scacchista, ha bisogno ora di tre cose. Uno, “reclutare mezzo milione di persone in più”. Due, “rinforzare l’aviazione” e “ottenere missili a lungo raggio”. Tre, “ricevere forniture di munizioni”. L’avanzamento per ora “è sempre più difficile” soprattutto per via dei campi minati. “Purtroppo, l’Occidente non ha idea di quante mine noi avessimo all’inizio della guerra” e del fatto “che i russi ne avessero ancora di più”. E “i ritardi” causati dalle discussioni politiche “hanno fatto sì che le linee del fronte venissero totalmente minate. Ora avanzare in direzione della Crimea è diventato più difficile”.

E la NATO? “Sono realista: non combatterà mai per noi”, spiega Kovalenko. E anche sulla strategia condotta dalle potenze internazionali ha da ridire. “La domanda, retorica, che dobbiamo farci è: l’Occidente vuole porre fine alla guerra o solo sfinire la Russia? Se l’Occidente vuole una Russia debole, sta facendo la cosa giusta. Ma non è una strategia utile a porre fine alla guerra ma bensì una che porta ad avere una parità di forze sul fronte. È già garantito che, una volta finito tutto, ci saranno aree dell’Ucraina che richiederanno almeno 30 anni per essere bonificate”.

Lo scacchista ribadisce come sia difficile, per chi vive una quotidianità di pace capire e ascoltare i bisogni di chi vive in un teatro di guerra o comprendere l’efferatezza di crimini come quello perpetrato a Bucha. E per ribadire il concetto lo scrive tre volte. Tra virgolette. “Pace, pace, pace”. Come un’eco per ricordare a molti la fortuna che hanno nel vivere in territori tranquilli. “Molte persone in Occidente sono stufe di questa guerra e vogliono che si arrivi alla pace. Ma la Russia aspetta la pace oggi per poter rifare una nuova Bucha domani delle dimensioni di Kiev o Kharkiv”.

Ma cosa c’era prima della guerra per Kovalenko?

Scacchi e famiglia. Una famiglia numerosa, non ricca, originaria di Novomoskovs, un piccolo centro di 70 mila abitanti non lontano da Dnipro. “Gli scacchi sono il nostro gruppo sanguigno. Tutti sanno giocare. Tre quarti della famiglia partecipa a tornei. Personalmente questo mondo mi ha permesso evadere dalla realtà che c’era in Ucraina 30 anni fa”.

Una relazione, quella con i pezzi e il gioco, che ha attraversato tutte le fasi. “È come se il colpo di fulmine iniziale si fosse poi trasformato in amore, poi in amicizia e rispetto… Gli scacchi si sono rivelati il trampolino per un ragazzo di provincia per sfuggire alla povertà”.

Oggi Kovalenko ha nostalgia delle partite, delle scacchiere, dagli orologi, dai calcoli infiniti. “Certo, mi mancano i tornei, l’atmosfera della competizione sportiva e, cosa più importante, il gioco in sé. Ora posso giocare solo su internet e sono riuscito a giocare dal vivo solo una volta, perché in quel periodo ero in congedo per malattia”. A novembre del 2022, in Israele, ai campionati mondiali a squadre. Un piccolo scampolo di normalità, a causa di un‘operazione al ginocchio, prima di rimettersi e tornare in trincea.

Molti giocatori russi, invece, continuano a giocare sotto la bandiera neutrale della FIDE, lontani dal conflitto. “Gli scacchi sono ormai uno sport russo”, spiega ancora Kovalenko. “Che lo si voglia ammettere o meno, è un dato di fatto. I russi non giocano nelle competizioni a squadre ma sotto la bandiera della FIDE nelle competizioni individuali. E questo è incredibile! Tutto ciò va oltre l’attuale mondo degli scacchi, è fantasia. Ma non tutto è così univoco”.

Ma la domanda che si fa Kovalenko è un’altra. “Perché la maggior parte delle federazioni europee è favorevole a Dvorkovich (presidente russo della FIDE, ndr)? Non dipendono dai soldi russi, tanto meno dalla politica. Io credo che il sistema elettorale della FIDE sia pessimo, e anche questo è un dato di fatto. E nonostante quello che sta accadendo in Ucraina, le federazioni scacchistiche vogliono ancora comunicare con la federazione russa: questo per me resta il mistero più grande”.

Il gioco, oggi, per Kovalenko è diviso in due: “Gli scacchi online appartengono al mondo occidentale. Le federazioni scacchistiche e le competizioni ufficiali appartengono a quello orientale”.

Cito allora Garry Kasparov, uno dei giocatori più forti di tutti i tempi, anti-putiniano della prima ora, nato nell’ex Urss, a Baku. L’ex campione del mondo sostiene che i “dittatori”, come apostrofa il leader del Cremlino, non siano buoni giocatori di scacchi perché odiano la trasparenza. Chiedo a Kovalenko se è d’accordo con questa descrizione. “Sono d’accordo con Kasparov su molte cose, peccato che la politica sia molto diversa dagli scacchi. In politica nessuno gioca secondo le regole. E i pezzi che all’inizio della partita sono bianchi possono cambiare colore più volte nel corso del gioco. Chi è a favore di chi? Non sempre si riesce a trovare una risposta”.

Arrivati a questo punto mi resta ancora una curiosità. Cosa farà Igor Kovalenko, uno dei 100 giocatori più forti del mondo, quando finirà la guerra? Quanto la sua carriera è stata rovinata dal conflitto? Da dove ripartirà la sua vita scacchistica?

La risposta è breve, lapidaria. “Ho definitivamente chiuso la mia carriera da giocatore attivo: dopo la guerra sarò autore di libri, allenatore e solo occasionalmente giocherò”. Il motivo, spiega, è molto semplice. “Le mie condizioni di salute, causate da questa guerra, non mi permetteranno più di essere un giocatore attivo”. Un “esaurimento fisico e psicologico”, disse a Time of Israel, nel 2022, in ritiro con la squadra ucraina “che ti trasforma in uno zombie”. Molto peggio che subire uno scacco matto.

 

Di Alessandro Frau – fonte: https://www.agi.it/