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Vi siete mai chiesti com’è possibile che molti dei resti romani siano ancora così ben conservati? Non è solo una questione di restauro! Pare, infatti, che il calcestruzzo romano abbia la capacità di “autoripararsi”. Ma ha davvero questo “superpotere”?
Alcuni ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) hanno analizzato la modalità di preparazione delle componenti base del calcestruzzo utilizzato dagli antichi Romani, proprio per comprendere come sia stato possibile avere un così elevato grado di durabilità del materiale nonostante l’esposizione ad agenti atmosferici nel corso dei secoli.
Com’è iniziata questa ricerca e cos’ha portato in luce?
Il team di studiosi ha prelevato una serie di campioni da testare nel sito archeologico di Privernum, vicino a Roma, per effettuare un’analisi dettagliata dell’esatta composizione chimica del calcestruzzo in esame. Dunque, a ritroso, si è potuto capire quale potesse essere la procedura di miscela e di preparazione dei materiali che è stata utilizzata. In particolare, lo studio presuppone l’utilizzo di una miscela ad alte temperature (chiamata hot mixing) della malta Romana, in modo tale che sia presente una fonte di idrossido di calcio [Ca(OH)2] capace di reagire con l‘anidride carbonica per formare dei cristalli che, espandendosi, riescono a chiudere eventuali fessure presenti nell’elemento. Sono stati svolti, inoltre, i medesimi test ricreando il calcestruzzo romano in laboratorio.
Quindi? Per riassumere possiamo dire che sì, è vero che lo studio qui discusso presenta delle evidenze sperimentali che mostrano come, questa particolare miscela di calcestruzzo, è in grado di auto-ripararsi. Va però fatta un po’ di chiarezza: le lesioni che possono ricucirsi, secondo quanto riportato ad oggi, sono relativamente piccole in ampiezza, si parla di decimi di millimetro. Inoltre, lo studio presentato si concentra su provini di limitata estensione e studiati in particolari condizioni ambientali. Stiamo quindi parlando di piccole lesioni, solitamente attese nel calcestruzzo che oggi utilizziamo, e in condizioni di degrado che potremmo definire ordinarie. Questo certamente comporta un miglioramento nelle prestazioni attese del materiale, ma non una sua totale immunità alle azioni esterne agenti, specie se di elevata entità.
Può essere quindi fuorviante associare a questo fenomeno, ad esempio, il fatto che alcune strutture romane siano sopravvissute nel tempo a violenti terremoti! C’è da dire, comunque, che lo studio presentato dal MIT apre degli scenari interessanti su nuovi sviluppi relativi alla preparazione del calcestruzzo per come lo conosciamo oggi. Utilizzare o migliorare le tecniche di preparazione della miscela finale, potrebbe comunque farci ottenere un materiale in grado di ripararsi, sebbene in maniera limitata, riducendo, così, notevolmente le operazioni di manutenzione.
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