Il lockdown costa all’Italia 47 miliardi al mese (il 3,1% del Pil italiano), 37 dei quali ‘persi’ al Nord e 10 nel Mezzogiorno. Si tratta di 788 euro pro capite al mese nella media italiana, 951 euro al Centro-Nord contro i 473 al Sud. È la stima dello Svimez, che parla di “uno shock esogeno senza precedenti per il Nord e per il Sud” e calcola che oggi ci sono oltre 5 impianti fermi su 10 in Italia.
Nella media nazionale, senza considerare i settori dell’Agricoltura, le Attività finanziarie e assicurative e la Pubblica Amministrazione, crollano del 50% fatturato, valore aggiunto e occupazione. Il blocco colpisce duramente, sia pure con diversa intensità, indistintamente l’industria, le costruzioni, i servizi, il commercio. A livello territoriale, sono più interessate le regioni del Nord soprattutto in termini di valore aggiunto (49,1%, circa 6 punti percentuali in più rispetto al Centro e al Mezzogiorno).
In termini di occupati interessati la forbice si annulla tra Nord e Sud: 53,3% nel Nord, 51,1% al Centro e 53,2% nel Mezzogiorno. In termini di unità locali, le differenze territoriali si ribaltano, segno di una maggiore parcellizzazione del tessuto produttivo nel Mezzogiorno dove le unità locali interessate dal lockdown raggiungono il 59,2% a fronte del 56,7 e del 57,2% rispettivamente nel Centro e nel Nord.
– SHOCK SENZA PRECEDENTI PER NORD E SUD
Il lockdown è stato e continua a essere uno shock esogeno senza precedenti per il Nord e per il Sud. La società e l’economia italiane sono attraversate dalla più grave crisi della storia repubblicana, dice Svimez. “Del tutto inattesa, di natura esogena, dai tempi di propagazione più rapidi tra mercati e paesi, dagli impatti sui livelli di attività economica e sul lavoro più profondi, più concentrati nel tempo e più pervasivi tra settori e territori rispetto all’ultima grande crisi avviatasi a fine 2008”. Un inedito shock congiunto di domanda e offerta sta producendo impatti sociali ed economici che “uniscono” Nord e Sud del paese. L’emergenza sanitaria dunque colpisce più il Nord, ma gli impatti sociali ed economici tendono a propagarsi in maniera più uniforme sul territorio.
– CON RIPRESA A METÀ ANNO CALO PIL -8,4%
Il Pil italiano nel 2020, considerando una ripresa delle attività nella seconda parte dell’anno, si ridurrà dell’8,4%, dell’8,5% al Centro-Nord e del 7,9% nel Mezzogiorno. La stima della Svimez considera il solo impatto del decreto ‘Cura Italia’. “Ulteriori interventi espansivi – si legge – potrebbero attenuare la dinamica recessiva”. Il profilo trimestrale 2020 evidenzia un impatto più rilevante nel primo semestre nelle regioni del Centro-Nord epicentro della crisi sanitaria. Il rimbalzo positivo, invece, che ci si attende con il venir meno del lockdown per Svimez sarà più intenso nelle regioni del Centro Nord. Il Mezzogiorno incontra lo shock in una fase già tendenzialmente recessiva, prima ancora di aver recuperato i livelli pre-crisi, ancora inferiore di 15 punti percentuali rispetto al 2007 (il Centro-Nord di circa 7).
– L’IMPATTO DEL LOCKDOWN SULL’OCCUPAZIONE: AUTONOMI E PARTITE IVA A RISCHIO
Attualmente per il lockdown sono ‘fermi’ in Italia circa 2,5 milioni di lavoratori indipendenti: oltre 1,2 milioni al Nord, oltre 500 mila al Centro e quasi 800 mila nel Mezzogiorno. Si tratta, sottolinea Svimez, in larga parte di autonomi e partite Iva: oltre 2,1 milioni, di cui 1 milione al Nord, oltre 400 mila al Centro e quasi 700 mila nel Mezzogiorno. Sono i lavoratori più fragili, e più a rischio povertà.
Le perdite di fatturato e reddito lordo operativo di autonomi e partite iva – calcola la Svimez – sono piuttosto uniformi a livello territoriale. La perdita complessiva di fatturato è di oltre 25,2 miliardi in Italia, così distribuiti territorialmente: 12,6 al Nord, 5,2 al Centro e 7,7 nel Mezzogiorno. Una distribuzione territoriale simile si osserva per le perdite di reddito operativo: circa 4,2 miliardi in Italia, di cui 2,1 al Nord, quasi 900 milioni circa al Centro e 1,2 milioni nel Mezzogiorno. La perdita di fatturato per mese di inattività ammonta a 12 mila euro per autonomo o partita iva, con una perdita di reddito 3 lordo di circa 2 mila euro, 1.900 e 1.800 per mese di lockdown rispettivamente nelle tre macroaree.
– IL RISCHIO DI DEFAULT È MAGGIORE PER LE MEDIE E GRANDI IMPRESE DEL MEZZOGIORNO
I tempi incerti del lockdown e l’incertezza che investe tempi e modalità delle riaperture minano le prospettive di tenuta della capacità produttiva. I dati territoriali sul blocco delle attività economiche delineano un quadro assai più problematico dell’ultima crisi. Il blocco improvviso e inatteso coglie impreparate le molte imprese meridionali che non hanno ancora completato il percorso di rientro dallo stato di difficoltà causato dall’ultima crisi. Rispetto alla grande crisi, il processo di selezione, allora dispiegatosi lungo un arco temporale ampio, oggi è anticipato all’inizio alla crisi con un’interruzione improvvisa che ha posto immediatamente al policy maker l’urgenza di intervenire a sostegno della liquidità delle imprese, di ogni dimensione. Un’urgenza che si è tradotta nel d.l. liquidità approvato nel Consiglio dei Ministri del 7 aprile. Sulla base dei dati di bilancio disponibili per un campione di imprese con fatturato superiore agli 800.000 euro, le evidenze su grado di indebitamento, redditività operativa e costo dell’indebitamento portano a stimare una probabilità di uscita dal mercato delle imprese meridionali 4 volte superiore rispetto a quelle del Centro-Nord.
– IL DL “CURA ITALIA”: L’OBIETTIVO DI NON LASCIARE NESSUNO INDIETRO
I lavoratori autonomi compensati solo per il 30% delle perdite. La distribuzione territoriale, al netto dei consumi collettivi (nei quali è ricompresa la spesa sanitaria), prevede una distribuzione, rispetto alla popolazione residente nelle due ripartizioni, più favorevole al Centro-Nord, come è logico data la diversa intensità assunta dall’epidemia nelle diverse aree. Il “cura Italia” sviluppa un intervento essenzialmente di maggior spesa corrente pari a 1,2 punti di Pil, meno della metà della stima Svimez dell’impatto di un mese di lockdown in termini di perdita di Pil. Il provvedimento esplica maggiori effetti al Sud in rapporto al Pil (1,4% contro l’1,2% nel Centro-Nord), mentre in termini pro capite si concentra maggiormente al Centro-Nord (372 euro pro capite contro i 251 nel Mezzogiorno). Il Centro-Nord ne risulta “compensato” per il 40% della perdita subita, il Sud per il 50%. La maggiore fragilità e precarietà del mercato del lavoro meridionale rende più difficile assicurare una tutela a tutti i lavoratori, precari, temporanei, intermittenti o in nero, con impatti rilevanti sulla tenuta sociale dell’area.
Vedi: Il lockdown costa 47 miliardi al mese (il 3,1% del Pil)
Fonte: economia agi