Identità e diritti umani


di Anthos

Amartya Sen, nella sua opera “Identità e Violenza” sostiene, e personalmente condivido, non un’identità “solitarista”, ma un’identità plurale.

Una classificazione della popolazione mondiale per civiltà o per religioni porta con sé un approccio all’identità umana che possiamo definire «solitarista», ovvero un approccio che considera gli esseri umani come appartenenti a un unico particolare gruppo (in questo caso definito in base alla civiltà o alla religione, a differenza di altre divisioni un tempo più comuni, che si basavano sulla nazionalità o la classe sociale).

Un approccio “solitarista” non solo nega agli individui il diritto di scegliersi la propria identità, ma può anche essere un ottimo modo di non capire praticamente nessuno al mondo. Nelle nostre vite normali, noi ci percepiamo come membri di molti gruppi, e apparteniamo a tutti quanti contemporaneamente. Il medesimo individuo può essere, senza che in ciò vi sia contraddizione, un cittadino italiano, di origini malesi, con antenati cinesi, un cristiano, un liberale, una donna, un vegetariano, un mezzo-fondista, uno storico, un insegnante, un romanziere, un femminista, un eterosessuale, unsostenitore dei diritti di gay e lesbiche, un patito del teatro, un ambientalista, un appassionato di tennis, un musicista jazz, e uno che crede fermamente che nello spazio profondo vivano esseri intelligenti con cui è assolutamente urgente comunicare.

Ognuna di queste collettività, cui questo individuo appartiene simultaneamente, gli conferisce una particolare identità”.

Altro elemento da tenere presente sono i diritti umani. Essi vengono considerati “precedenti”, anziché successivi, ai diritti legali. Si è ripetutamente sollevata la domanda: che cosa giustifica la rivendicazione di diritti umani? È più che semplice retorica, più che una mongolfiera piena d’aria calda. La dichiarazione francese dei «diritti dell’uomo» (1789) – contestuale alla Rivoluzione francese – con l’asserzione che tutti gli esseri umani «nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti», fu una potente affermazione dei diritti umani, ma pochi anni dopo fu presto seguita dalla veemente critica che le rivolse Jeremy Bentham nel pamphlet intitolato Anarchical Fallacies, scritto tra il 1791 e il 1792. «I diritti naturali – dichiarò Bentham – sono un semplice nonsense: diritti naturali e imprescrittibili (una frase coniata in America) sono un nonsense retorico, un ampolloso nonsense». Quella divisione rimane viva ancor oggi, e molti considerano l’idea dei diritti umani come «schiamazzi scritti», identificando così le rivendicazioni dei diritti umani naturali come nulla di diverso dal gridare con carta e penna. Personalmente ho sempre sostenuto che il diritto di ogni uomo è inalienabile alla libertà e alla vita. Faccio una considerazione semplice: c’è nel mondo essere umano che non nasca nudo? Questa sola considerazione  basta a farmi considerare che ogni individuo nasce libero, ha uguali diritti ed è identico a se stesso.