I rialzi della BCE fanno danni.


Un altro rialzo dei tassi, si spera l’ultimo, oppure la tanto necessaria pausa. A Francoforte entriamo nella settimana decisiva in vista del Consiglio di Amministrazione di giovedì già carica di aspettative ma soprattutto di tensioni. Tra chi vorrebbe smetterla con i rialzi che minano le previsioni di crescita dell’area euro e chi invece ritiene che la lotta all’inflazione non sia ancora finita. In un contesto pieno di incertezze, una cosa è certa: le politiche della Banca Centrale Europea stanno causando danni. E di questo se ne è accorto anche la Commissione europea: “La stretta monetaria potrebbe comportare effetti negativi sull’attività economica più forti del previsto, ma potrebbe anche innescare un calo più rapido dell’inflazione, che accelererebbe la ripresa dei redditi reali” , ha affermato il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni, presentando i dati delle previsioni economiche estive.

Nel mese di agosto l’indice dei prezzi non è diminuito ma è rimasto stabile al 5,3%. Secondo le previsioni macroeconomiche per l’area euro aggiornate dall’Eurotower in estate, nel complesso l’inflazione complessiva scenderebbe dall’8,4% nel 2022 a una media del 5,4% nel 2023, del 3,0% nel 2024 e del 2,2% nel 2025. Rispetto alle proiezioni lo scorso marzo l’indice complessivo è stato rivisto lievemente al rialzo per l’intero periodo in esame. Siamo ancora lontani dall’obiettivo del 2% che la Bce intende raggiungere al più presto. Secondo il verbale del Consiglio di giugno, i banchieri centrali dell’Eurozona hanno sottolineato che la BCE “potrebbe dover continuare con ulteriori rialzi dei tassi, ma dovrebbe anche essere pronta a fermarsi se i dati e la sua valutazione lo richiedono”. Già in quella riunione si prevedeva, come avvenne poi, che Francoforte avrebbe aumentato i tassi sia a giugno che a luglio. Quello che si apre a settembre è uno spiraglio per fermarsi, o almeno prendersi una pausa.

Secondo il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, intervenuto la settimana scorsa al panel dell’Ispi, “siamo vicini al livello al quale possiamo smettere di alzare i tassi”. “Ci sono segnali che in qualche modo possiamo tranquillizzarci rispetto ai forti rischi che temevamo lo scorso anno”, ha spiegato Visco per il quale “bisogna chiedersi cosa fare adesso: guardiamo i dati e in base ad essi prendiamo decisioni “. L’inflazione complessiva è in calo ma, come sottolineato più volte dalla presidente della BCE Christine Lagarde, ora è l’inflazione di fondo a mostrare segni di persistenza, alimentando i timori di una politica restrittiva più a lungo.

Secondo il commissario Gentiloni, “il ritmo del calo nel 2023 è leggermente più rapido di quanto previsto in primavera, riflettendo, in media, prezzi più bassi delle materie prime energetiche”. Allo stesso tempo, aggiunge, “le ipotesi più elevate sul prezzo del petrolio e le persistenti pressioni sui prezzi sottostanti aumentano marginalmente le previsioni di inflazione per il 2024”. Sempre secondo il membro della Commissione “siamo vicini al picco dei tassi di interesse nell’Ue”. Il punto è capire se giovedì la Bce fermerà o metterà in stand-by le restrizioni monetarie.

E il motivo è che gli aumenti forzati dei tassi stanno iniziando a manifestarsi nell’economia reale. La Commissione europea ha rivisto al ribasso la crescita dell’economia dell’UE allo 0,8% nel 2023, dall’1% previsto nelle previsioni di primavera, e all’1,4% nel 2024, dall’1,7%. Ha inoltre rivisto al ribasso la crescita dell’area euro allo 0,8% nel 2023 (dall’1,1%) e all’1,3% nel 2024 (dall’1,6%). Le politiche di Lagarde, secondo la Commissione, penalizzano tutti i membri dell’eurozona, ma alcuni paesi subiscono maggiormente le ripercussioni. Come l’Italia, dove secondo il rapporto della Commissione “la stretta monetaria gioca forse un ruolo particolare” visto che è un “Paese in cui gran parte degli investimenti nell’economia dipende dal finanziamento bancario, più che in altri Paesi europei”.

I falchi però sono in agguato. A fine agosto, il giorno del discorso di Lagarde al simposio dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming, il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, è intervenuto per spegnere le speranze sulla fine dell’era dei rialzi: “È troppo presto per pensare ad una pausa, penso che dovremo aspettare i prossimi numeri”. Questo perché anche se l’inflazione è in calo, l’inflazione ‘core’ è ancora “persistente”: “Non dobbiamo dimenticare che l’inflazione è ancora intorno al 5% ed è ancora troppo alta. Il nostro obiettivo è il 2%. Quindi c’è ancora molta strada da fare.”

In breve, giovedì la Bundesbank sarà probabilmente tra coloro che si oppongono ad un allentamento della stretta monetaria. E al suo fianco ci sarà il governatore austriaco Robert Holzmann che nei giorni scorsi ha messo le mani avanti: “Ho il sospetto che la Bce dovrà alzare un po’ di più i tassi, l’indice core è ancora molto alto”.

Intanto tra gli analisti regna l’incertezza. Secondo la strategia di mercato di MPS, l’esito della riunione della Bce è più “incerto che mai con un aumento dei tassi di 25 punti base, prezzato con una probabilità del 39% dal mercato degli swap. A nostro avviso il mercato sottovaluta lo scenario di un ultimo rialzo. Ciò sarebbe in linea con il rapporto di Market News di venerdì secondo cui i falchi sarebbero a favore di un ulteriore/finale rialzo fintanto che i dati fossero favorevoli”. In linea anche l’analisi di Frederik Ducrozet di Pictet Wealth Management, secondo il quale “l’esito appare molto incerto. Il consenso degli economisti è diviso e i mercati valutano intorno al 40% di possibilità di crescita”. Altri osservatori ritengono però possibile una pausa in un contesto che da qui a giovedì è destinato ad essere ulteriormente carico di aspettative e tensioni.

 

di C. Paudice – fonte: https://it.italy24.press/