I ragazzi che dedicano le feste a ricostruire i tetti distrutti in Ucraina


Diciotto ragazzi tra i 19 e i 30 anni, quasi tutti studenti, sono partiti in pullman alla fine dell’anno dal Pavese per trascorrere le festività natalizia tra Odessa e Mykolaiv

AGI – Sono diciotto ragazzi tra i 19 e i 30 anni, quasi tutti studenti, ma ci sono anche una pubblicitaria, un assicuratore, un consulente, un giardiniere. Sono partiti in pullman alla fine dell’anno da Robbio, Confienza e Mede, tre piccolo comuni del Pavese, per trascorrere le festività natalizia tra Odessa e Mykolaiv. Tra gli obbiettivi, portare medicinali e “gioia” ai bambini e soldi per ricostruire i tetti distrutti dalla guerra.
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“Padre Vitaly, il nostro referente a Odessa, ci ha mandato una lettera a ottobre – racconta all’AGI Umberto Arrisio, socio del Leo Club Biraga che è promotore dell’attività umanitaria -. La richiesta era quella di aiutare le persone ad aggiustare i tetti danneggiati per evitare la distruzione delle loro case. Per ogni tetto ci vogliono circa duemila euro”. I ragazzi hanno raccolto e portato oltre a una gran quantità di farmaci e cibo anche i soldi per cominciare l’opera necessaria a salvare le abitazioni danneggiate dai cieli di guerra.
“Le case al centro del progetto sono una ventina – prosegue Arrisio – e, una volta sistemate, saranno utilizzate non solo come abitazioni private ma anche per accogliere persone che hanno perso tutto”.
I ragazzi italiani giocano coi piccoli ucraini
A capodanno il gruppo si è dedicato a distribuire pasti caldi e, in particolare, a quello che gli stava più a cuore nella missione. “Far giocare i bimbi, soprattutto quelli dei villaggi dove non possono andare a scuola perché i bunker, necessari per lezioni in sicurezza, ci sono solo nelle città. Nei villaggi esistono dei centri ricreativi dove possono stare insieme quando non ci sono attacchi in corso. Abbiamo portato tanti giochi ed è stata un’esperienza molto emozionante. L’aspetto devastante è non aver visto nemmeno un padre: sono tutti o al fronte o impegnati nelle poche attività ancora aperte”.
di Manuela D’Alessandro – fonte: AGI