I NOSTRI ERRORI NEGLI ANNI


Di Gian Antonio Stella

Da Arquà Polesine, isolata e impossibilitata a chiedere aiuti, partì per chiedere soccorsi un ragazzo coraggioso e pazzo, Paride Fabbris, che entrò nel mito nuotando per chilometri nel buio fino a Rovigo tra le acque gelide e furenti. Era una notte di novembre del 1951. Altri tempi, altra alluvione. Quella catastrofica del Polesine quando l’acqua invase una superficie maggiore del lago di Ginevra. Ma ti chiedi: possibile che oltre settant’anni dopo pezzi d’Italia possono ancora restare isolati per colpa di alcuni giorni di pesante pioggia torrenziale?
Certo, di acqua ne è venuta giù tantissima. Al punto che l’Ispra ha calcolato che nei due «eventi in sequenza» degli ultimi venti giorni le precipitazioni hanno superato in varie località i 450 millimetri. Un evento eccezionale con un «tempo di ritorno superiore a 100 anni». Un diluvio che da lunedì a mercoledì ha causato «l’esondazione di 23 fiumi e allagamenti diffusi in 41 comuni con picchi di 300 millimetri in 48 ore sui bacini del crinale e collina forlivese». Attribuire tanti lutti e tanti danni alla (solita) calamità naturale ingigantita dai cambiamenti climatici, però, è riduttivo.
«L ’acqua disfa li monti e riempie le valli, e vorrebbe ridurre la terra in perfetta sfericità, s’ella potessi», scriveva già qualche secolo fa Leonardo da Vinci, «E non ha quiete insinoché non si congiunge col suo marittimo elemento». Ovvio. Ma è solo la natura la responsabile, oggi, delle 271 frane in 58 comuni (44 in provincia di Bologna, 90 in quella di Ravenna, 103 in quelle di Forlì-Cesena…) o sono state determinanti certe scelte urbanistiche sbagliate se non temerarie in una regione dove in totale sono state censite 80.335 frane cioè una su otto delle 620 mila contate Italia? Se le case e i condomini di Borgo Durbecco (Faenza) finiscono sotto acqua non sarà perché sono state costruite, anche in tempi recenti, cinque metri sotto la quota del centro storico e dell’argine dei fiume? È merito della buona sorte se Piazza Maggiore non è allagata come in una scellerata fake news messa ieri on-line o perché gli avi dei bolognesi di oggi scelsero un luogo quindici metri sopra la quota del Reno?
Sempre l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale denunciava nel 2015 come il consumo effettivo del territorio, nel dopoguerra, fosse schizzato mediamente al 10,8% (oltre il doppio della media del territorio urbanizzato in Europa: 4,3%) con picchi da incubo nel Veneto (14,7%), Lombardia (16,3%), Campania (17,3%) fino al 22,8% in Liguria. Per non dire del suolo consumato in aree a rischio idraulico. Con Toscana ed Emilia-Romagna all’11%, Marche al 13% e Liguria addirittura al 30,1%. Da brividi.
Eppure si è continuato a costruire, costruire, costruire: altri 883 ettari consumati nel solo 2021 in Lombardia, 683 in Veneto, 658 in Emilia-Romagna dove un sesto del territorio (il 14,6%) «è classificato a pericolosità elevata e molto elevata nei Piani di Assetto Idrogeologico». A livello nazionale «19 ettari al giorno, il valore più alto negli ultimi dieci anni, e una velocità che supera i 2 metri quadrati al secondo». Ne valeva la pena, in un Paese fragile come il nostro esposto a eventi catastrofici che sul solo fronte delle frane ha contato negli ultimi 50 anni (1972-2021), 1.071 morti, 1.423 feriti e 145.548 evacuati? Mah…
Lo stesso patrimonio paesaggistico, monumentale, artistico, come ricorda Giuseppe Caporale nel saggio Ecoshock appena uscito per Rubbettino, un patrimonio sul quale il Paese conta anche sotto il profilo turistico, è a rischio. «Degli oltre 213.000 beni architettonici, monumentali e archeologici», si legge nell’ultimo Rapporto sul Dissesto Idrogeologico in Italia, «quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono oltre 12.500 nelle aree a pericolosità elevata e molto elevata; raggiungono complessivamente le 38.000 unità se si considerano anche quelli ubicati in aree a minore pericolosità. I Beni Culturali a rischio alluvioni sono quasi 34.000 nello scenario a pericolosità media e raggiungono quasi i 50.000 in quello a scarsa probabilità di accadimento o relativo a eventi estremi».
E torniamo sempre lì, alla domanda che da troppi anni tormenta chi ama questo Paese: arriveremo finalmente a una vera consapevolezza della gravità del problema? O ci butteremo tutto alle spalle, come sempre, appena smetterà di piovere?

fonte: Corriere