I minibond supportano le pmi


I minibond accusano una lieve battuta d’arresto, causa pandemia, ma non una frenata, riuscendo così ad assolvere il compito di fonte di finanziamento alternativa e complementare al credito bancario. Sono soprattutto tre i fattori determinanti in questa tenuta: in primo luogo gli interventi emergenziali attuati dallo Stato, cioè la moratoria sui prestiti e il programma di garanzie pubbliche che ha interessato anche il mondo dei minibond, attraverso il Fondo di Garanzia e la Garanzia Italia di Sace. Inoltre nel 2020 è diventata operativa la possibilità per i portali autorizzati di equity crowdfunding di collocare minibond di Spa a particolari categorie di investitori. Infine, ma non per importanza, è da segnalare l’effetto traino di operazioni di sistema come i basket bond regionali. Grazie ai quali, per esempio, la Campania, proprio in virtù del progetto Garanzia Campania bond, promosso dalla finanziaria regionale Campania Sviluppo, da Cdp e Mediocredito Centrale-Banca del Mezzogiorno e da Banca Finint, è passata in testa per numero di emittenti (43, contro le 13 del 2019), superando Lombardia (36) e Veneto (29), tradizionalmente le regioni più attive. Con un’operazione di sistema simile, anche la Puglia è passata da 3 a 13 emittenti.

Sono alcuni dei dati raccolti dall’Osservatorio minibond della School of Management del Politecnico di Milano, presentato durante un convegno on-line a cui hanno preso parte i partner della ricerca (ADB Corporate Advisory, Banca Finint, Cassa depositi e prestiti, Cerved rating agency, Epic Sim, Foresight Group, F&P Frigiolini & Partners Merchant, Mediocredito Trentino-Alto Adige, Orrick, Borsa Italiana, Innexta, BeBeez). Guardando ai numeri, nel 2020 l’industria dei minibond, rispetto al 2019, anno dei record, ha registrato un lieve calo delle emissioni (194 contro 205); la raccolta sul mercato si è fermata a 920 milioni di euro per l’abbassamento del valore medio delle singole operazioni (4,59 milioni) e tuttavia, se ci si limita alle pmi, è stata la migliore degli ultimi 3 anni (448 milioni di euro).

«Nel 2020 l’industria dei minibond italiani ha retto bene nonostante lo stress test della pandemia», ha commentato Giancarlo Giudici, responsabile dell’Osservatorio minibond ed estensore del Report. «La raccolta infatti è di poco diminuita, più che altro perché è sceso il valore medio delle emissioni, e sono numerose le pmi che si sono avvicinate a questo mercato per la prima volta, anche grazie a operazioni di sistema come i basket bond regionali. Le sfide per il futuro sono tre: la sostenibilità del debito a valle dei risultati di bilancio, che inevitabilmente saranno più sfavorevoli rispetto alle aspettative; la capacità del sistema di trovare un nuovo equilibrio quando i provvedimenti emergenziali pubblici termineranno e potrebbe essere necessario prevenire un accumulo di crediti ‘unlikely-to-pay’ (inadempienze probabili, ndr); approfittare dei Pir alternativi e degli Eltif, ai nastri di partenza, per dare nuovo spessore al mercato con un salto di qualità che possa rinvigorire anche il mercato secondario».

Sul fronte degli investitori che hanno sottoscritto i minibond, infatti, Eltif (acronimo di European Long Term Investments Funds, fondi di natura chiusa) e Pir alternativi si affiancheranno agli attori principali: il 2020 ha visto il ruolo importante delle banche italiane (41% dei volumi) seguite dai fondi di private debt (20%). Fondi e banche estere hanno contribuito per il 15%, Cassa depositi e prestiti per il 12%.

La definizione. A cosa ci riferiamo quando parliamo di minibond? Sono, secondo la definizione usata dall’Osservatorio, titoli di debito (obbligazioni e cambiali finanziarie) emessi da società italiane non finanziarie, quotate o non quotate in Borsa. In particolare si tratta di emissioni da parte di società di capitale o cooperative aventi operatività propria (escludendo banche, assicurazioni e società finanziarie) di importo inferiore a 50 milioni di euro, non quotate su listini aperti agli investitori retail. Sono stati introdotti nel 2012, anno in cui è stato varato il cosiddetto decreto Sviluppo (il dl 83/2012 convertito nella legge n. 134/2012), e hanno ricevuto diverse spinte sul piano normativo (il dl sviluppo bis, il Destinazione Italia e il decreto Competitività, la legge di Bilancio 2019 e il decreto fiscale 2020), fino ad arrivare ai decreti Liquidità (dl 23/2020, convertito nella legge n. 40/2020) e Rilancio, (dl 34/2020 convertito nella legge n. 77/2020) che hanno semplificato l’opportunità per le pmi di collocare sul mercato obbligazioni e cambiali finanziarie, sottoscritte da fondi o asset management company, e hanno dato allo Stato la possibilità di sottoscrivere corporate bond. Stanno diventando, quindi, strumento valido per il finanziamento e anche trampolino di lancio, come se fosse un allenamento, per accedere a operazioni più complesse (per esempio il private equity o la quotazione in Borsa).

I numeri. Finanziare la crescita interna dell’azienda (60,5%) resta il motivo principale del collocamento, seguito dalla necessità di ristrutturare le passività finanziarie (10,4%), di alimentare il ciclo di cassa del capitale circolante (soprattutto Pmi) e le strategie di crescita esterna tramite acquisizioni (soprattutto grandi imprese).

Il database dell’Osservatorio contiene 1.005 emissioni di minibond effettuate dalle imprese del campione (che spesso ne hanno condotte più di una) a partire da novembre 2012, per un valore nominale totale di 7,07 miliardi di euro, di cui 2,53 miliardi riferibili alle Pmi. Il 2020 ha contribuito con 920 milioni di euro (erano 1.223 nel 2019), la cifra più bassa, seppur di poco, dal 2016 perché si è ulteriormente ridotto il valore medio dei singoli deal, sceso nel secondo semestre al minimo storico di 4,59 milioni di euro. Se infatti, nel campione totale, il 65% delle emissioni è sotto la soglia dei 5 milioni di euro, nel 2020 la percentuale sale quasi al 76% e vengono a mancare operazioni sopra i 20 milioni di euro. Storia a parte le pmi, per le quali la raccolta è ai massimi degli ultimi 3 anni: 448 milioni di euro, solo nel 2017 era andata meglio (549 milioni). Come anticipato, un effetto traino è arrivato dai sistemi di garanzia regionali. Nel 2020 sono salite a 112 le emissioni che hanno adottato garanzie sul rimborso del capitale (58%). La più diffusa (26%) è quella rilasciata dalle regioni, soprattutto attraverso i basket bond in Campania e Puglia, seguita da quella eleggibile per il Fondo di Garanzia (21%) che però è rilasciata all’investitore. Nel 7% dei casi è stata offerta autonomamente dall’emittente, attraverso un pegno o fideiussione. Di fatto, nel 2020, c’è stata una sostituzione delle garanzie private con quelle pubbliche.

Fonte: Italia Oggi

Rosy Tomasicchio