Il leggendario vulcano, culminante a 3675 mt. di altezza con il caratteristico cratere centrale sovrastante le diverse bocche eruttive laterali – fra cui quelle di più recente formazione sul versante nord est – è splendidamente evidenziata dalla sinuosa linea dei suoi fianchi dolcemente e paesaggisticamente degradanti verso le basse quote e verso il mare
di Augusto Lucchese
Nel 1973, dopo un lungo periodo di stressante impegno lavorativo, essenzialmente dovuto al trasferimento e all’ambientamento in un nuovo contesto di maggiore responsabilità, di prima linea, m’ero prefisso di ricercare una comoda casetta in montagna ove trascorrere, specie nel periodo estivo, i fine settimana e i periodi di riposo. L’essermi casualmente imbattuto, dopo svariate ricerche, in un’autentica oasi di pace e di serenità, lontano dai disagi e dal frastuono della città, fu come un insperato successo e come un salutare appagamento dello spirito.
Ero riuscito a trovare, in uno dei ridenti e lindi paesini abbarbicati sulle falde dell’Etna, sulla direttrice di Milo, una graziosa villetta, parecchio funzionale e accogliente, che si prestava magnificamente allo scopo. Dalle ampie terrazze lo sguardo poteva proiettarsi agevolmente sul vasto orizzonte della riviera ionica, sino a spingersi – lì sulla sinistra – verso la zona del taorminese. Nei giorni di sereno anche la prospiciente costa calabrese sembrava vicina, pur se quasi confusa, a nord, con la punta estrema del territorio siciliano.
La costruzione, adagiata sul declivio di una ridente e ombrosa collina, dominante l’abitato di una linda e attrezzata frazione di Zafferana, era circondata da una rigogliosa vegetazione che includeva, peraltro, parecchi alberi d’alto fusto. Variegate piante di rose, margherite e gelsomini, ricche di germoglianti boccioli e irradianti fragranti profumi, ornavano e arricchivano le variopinte aiole, oltre a coprire, quasi arabescandole, le inferriate che recintavano l’ampia terrazza.
Sul lato di nord ovest, superbo e maestoso si stagliava lo straordinario scenario del possente vulcano Etna – la “montagna” per tutti – che, per effetto della sua prossimità, incuteva quasi un istintivo timore, non disgiunto, però, da un reverenziale senso di rispetto per la sua magnificenza e per la sua imponenza.
Il leggendario vulcano, culminante a 3675 mt. di altezza con il caratteristico cratere centrale sovrastante le diverse bocche eruttive laterali – fra cui quelle di più recente formazione sul versante nord est – era splendidamente evidenziata dalla sinuosa linea dei suoi fianchi dolcemente e paesaggisticamente degradanti verso le basse quote e verso il mare. Un autentico pittoresco profilo.
Il trovarsi a stretto contatto col possente e imprevedibile “Mongibello” (il mitico “Efesto” dei Greci), nonostante le sue ricorrenti e talvolta violente impennate, non comportava, in ogni caso, alcuna apprensione e, tanto meno, alcun condizionante disagio.
La leggenda, la storia, la scienza, hanno manifestato da sempre giudizi
parecchio magnanimi sul complessivo comportamento dell’Etna e sembra giusto convenire che, tutto sommato, non è per niente avventato condividere, magari con un pizzico d’orgogliosa affettuosità, la nomea generosamente attribuitagli di “gigante buono”. Tale nomea, ove si considerino le ansie, i pericoli, le distruzioni che ha arrecato nel tempo e che, quando va su di giri, potrebbe maggiormente arrecare nel caso si aprissero nuove bocche effusive a bassa quota, non va intesa, tuttavia, quale incontrovertibile verdetto d’assoluzione.
Il primo, incerto riferimento storico alla temuta attività eruttiva dell’Etna, si configura nel 479 a.C. ma parecchi, attenti studi circa i veementi trascorsi del vulcano e circa le minuziose analisi dei materiali lavici, mediante scientifiche datazioni archeomagnetiche e radiometriche, portano a presumere che il vulcano sia in costante ricorrente attività da circa tre millenni. Ascendono a parecchie centinaia, forse a qualche migliaio, le eruzioni di ogni tipo, di trascurabile incisività, di lunga durata e di elevata intensità, di notevole o di scarsa portata, costantemente susseguitesi nel corso dei secoli.
Esistono, a tal proposito, probatori riferimenti storici risalenti all’epoca greco-romana che raccontano, pur nell’imprecisione temporale degli anni, di violente eruzioni. Nel 396 a.C., ad esempio, a detta di Diodoro Siculo, una nutrita colata raggiunse il mare nei pressi dell’attuale borgo di Santa Tecla e, casualmente, servì ad arrestare l’invadente azione offensiva dei cartaginesi. Anche Tucidide (nel VI e VII libro delle sue “Storie”) soffermandosi sulla sfavorevole avventura guerresca di Atene in Sicilia, traccia una breve storia dell’Isola e accenna al verificarsi di simili spaventosi eventi.
L’Etna, nel tempo, è stato più di una volta parecchio cattivello e la titanica forza distruttiva dei suoi incandescenti fiumi di lava ha colpito senza scampo varie zone del circondario, distruggendo ogni cosa lungo il percorso dell’implacabile scorrere delle colate, anche borghi e interi paesi.
Una delle più memorabili violente eruzioni (1669 – originatasi nell’ambito dei crateri oggi spenti dei Monti Rossi, fra Mompilieri e Nicolosi), dopo avere sommersa l’antica “Malpasso” oggi ricostruita col nome di Belpasso, si spinse financo verso il pur distante agglomerato urbano di Catania, sino a lambire alcune parti della placida zona costiera, finendo col riversarsi abbondantemente in mare aperto.
Nel corso del lungo periodo prima accennato la consistenza strutturale del vulcano, la sua altezza, il suo profilo, le sue caratteristiche, hanno subito notevoli modifiche e variazioni, quasi alla stregua di un essere vivente. Parimenti è risultata parecchio diversificata nel tempo, nel bene e nel male, la sua influenza sull’ambiente che lo circonda. La solitaria cima del cratere centrale è attorniata da altri grandi e piccoli crateri, fra cui alcuni sono stati spesso teatro di parossistiche spettacolari eruzioni e colate.
Assistendo alle più o meno violente eruzioni dell’Etna, non si può non riflettere sulla inane potenza dei fenomeni che le generano, fenomeni collegati con l’attività, per molti versi tuttora non del tutto scientificamente suffragata, del cosiddetto “nucleo centrale”, l’incandescente profonda massa interna del pianeta ove spontaneamente si rinnovano continue reazioni nucleari prodotte da elementi radioattivi quali uranio, torio e potassio.
Chi, dopo più o meno attenta riflessione, decidesse di spingersi verso le alte quote del vulcano, verso i labirintici costoni che attorniano i crateri, verso gli aggrottamenti formatisi nel tempo, verso le zone ove con più frequenza si manifestano le spaccature che preludono alle eruzioni, potrà facilmente constatare che la frastagliata crosta lavica che si forma dopo i fenomeni eruttivi, spesso sovrapposta a quella delle precedenti fuoruscite di materiale magmatico, seguita ad emanare, magari a distanza di tempo, un intenso calore. Tale fatto sta a dimostrare che il sottostante accumulo di magma incandescente, pur non ricevendo, in quel momento, alcuna irruenta spinta gassosa capace di farlo affiorare violentemente in superficie, continua a ribollire sotto la nera frastagliata distesa di lava solidificata.
Quanto accennato sin qui dovrebbe indurre un po’ tutti a riflettere, cosa che avviene parecchio di rado, su quanto incontenibile e incontrastabile sia la forza della natura. Nell’arco dei milioni di anni in cui si sono susseguite ed evolute le varie ere geologiche, oltre che nel corso dei più recenti periodi in cui è avvenuta la formazione dei continenti e degli oceani, sono stati i furiosi e frequenti eventi eruttivi che, massicciamente, hanno influito sulla formazione della odierna struttura del Pianeta.
In ogni caso, fra i molti vulcani attivi e dormienti oggi esistenti nei vari continenti, si può ben dire che l’Etna, almeno in quest’ultimo scorcio temporale, dimostra d’essere fra i meno pericolosi e brutali.
Il vulcano siciliano, nella parte alta, presenta un aspetto frastagliato e desolato, quasi da paesaggio lunare e occorre portarsi verso la fascia di territorio di più bassa quota per riuscire a constatare come i fianchi della nera e fumante “montagna” assumano connotati sempre meno aspri fondendosi, alla fine, con le ridenti pendici incastonate nella stupenda visione della costa ionica e delle lussureggianti vallate degradanti verso la Piana di Catania. Ciò crea scenari incomparabili, stupendi, forse unici al mondo.
Attorno al vulcano, inoltre, si sono formate immense distese di boschi secolari, comprendenti anche rigogliosi castagneti e pinete che forniscono grandi quantità di utili e pregiati frutti, parecchio utili e preziosi per il commercio e per l’artigianato locali. Senza dire dei frutteti e dei vigneti che nei terreni di natura vulcanica hanno trovato l’humus ideale per svilupparsi e per offrire prodotti di altissima qualità e di gusto ineguagliabile.
È cosa certa, in ogni caso, che il “gigante buono”, pur a fronte delle citate focose imprevedibili sfuriate e quasi a volersi fare perdonare, non ha mai lesinato il suo prezioso apporto alla fertilità dei terreni coltivabili lungo le sue pendici, contribuendo allo sviluppo della straordinaria produttività di vaste superfici dell’agro etneo. Numerose falde acquifere, in gran parte alimentate dallo scioglimento delle immacolate nevi d’alta quota, forniscono al comprensorio copiose risorse di acqua potabile, purissima e di ottimo gusto.
Da taluni centri abitati dell’hinterland etneo, inoltre, è facile raggiungere le zone in cui, nei mesi invernali, la candida coltre nevosa offre al turismo funzionali e praticabili campi da sci oltre che ameni e suggestivi luoghi di svago. Paesaggi d’inusitata bellezza, appagano il turista che giunge da ogni dove, anche da molto lontano.
Moltissimi abitanti del vasto comprensorio, in gran parte discendenti delle popolazioni coraggiosamente insediatesi, in tempi antichi, fra le rocciose contrade e le impervie vallate del vulcano, traggono in definitiva lavoro e benessere economico. Grazie Etna.
E, per chiudere, non va dimenticato che parecchie diverse caratteristiche differenziano la struttura geologica dell’area vulcanica dai limitrofi territori siciliani prettamente di natura sedimentaria. Tale diversità si può notare nettamente percorrendo i circa 180 Km. del perimetro di base del vulcano.