“I have a dream”: tradurre la giustizia in una realtà per tutti i figli di Dio


di redazione

Il giorno di Pasqua coincide quest’anno con il 53° anniversario dell’assassinio di Martin Luther King, ilpastore protestante ed attivista politico statunitense, leader del movimento per i diritti civili degli afro-americani.

Il QdC rievoca il tragico evento nella rubrica quotidiana dedicata al ricordo di personaggi e avvenimenti.

In occasione della Pasqua desideriamo offrire ai nostri lettori ed alle nostre lettrici il testo del più celebre dei discorsi del reverendo King, quello passato alla storia per l’espressione “I have a dream” che ne costituisce l’indimenticabile titolo. Il discorso fu pronunciato a Washington, davanti al Lincoln Memorial, il 28 agosto 1963, a chiusura di un’imponente marcia di protesta per i diritti civili.

Nel santo giorno della Pasqua vogliamo ricordare queste parole perché esse sono ancora oggi simbolo della lotta contro il razzismo, non solo negli Stati Uniti d’America, ma in tutto il mondo. E lotta contro il razzismo, contro ogni forma di razzismo, vuol dire impegno per la pace, per la libertà, per la risurrezione dello spirito umano verso la salvezza, la piena affermazione della dignità, della sacralità della vita, di tutte le vite. È il nostro nodo di interpretare il messaggio cristiano della Pasqua.

Oggi sono felice di essere con voi in quella che nella storia sarà ricordata come la più grande manifestazione per la libertà nella storia del nostro Paese. Un secolo fa, un grande americano, che oggi getta su di noi la sua ombra simbolica, firmò il Proclama dell’emancipazione. Si trattava di una legge epocale, che accese un grande faro di speranza per milioni di schiavi neri, marchiati dal fuoco di una bruciante ingiustizia. Il proclama giunse come un’aurora di gioia, che metteva fine alla lunga notte della loro cattività. Ma oggi, e sono passati cento anni, i neri non sono ancora liberi. Sono passati cento anni, e la vita dei neri è ancora paralizzata dalle pastoie della segregazione e dalle catene della discriminazione.
Sono passati cento anni, e i neri vivono in un’isola solitaria di povertà, in mezzo a un immenso oceano di benessere materiale. Sono passati cento anni, e i neri ancora languiscono negli angoli della società americana, si ritrovano esuli nella propria terra. Quindi oggi siamo venuti qui per tratteggiare a tinte forti una situazione vergognosa. In un certo senso, siamo venuti nella capitale del nostro paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della nostra repubblica hanno scritto le magnifiche parole della Costituzione e della Dichiarazione d’indipendenza, hanno firmato un “pagherò” di cui ciascun americano era destinato a ereditare la titolarità. Il “pagherò” conteneva la promessa che a tutti gli uomini, sì, ai neri come ai bianchi, sarebbero stati garantiti questi diritti inalienabili: “Vita, libertà e ricerca della felicità”.
Oggi appare evidente che per quanto riguarda i cittadini americani di colore, l’America ha mancato di onorare il suo impegno debitorio. Invece di adempiere a questo sacro dovere, l’America ha dato al popolo nero un assegno a vuoto, un assegno che é tornato indietro, con la scritta “copertura insufficiente”. Ma noi ci rifiutiamo di credere che la banca della giustizia sia in fallimento. Ci rifiutiamo di credere che nei grandi caveau di opportunità di questo paese non vi siano fondi sufficienti. E quindi siamo venuti a incassarlo, questo assegno, l’assegno che offre, a chi le richiede, la ricchezza della libertà e la garanzia della giustizia. Siamo venuti in questo luogo consacrato anche per ricordare all’America l’infuocata urgenza dell’oggi. Quest’ora non è fatta per abbandonarsi al lusso di prendersela calma o di assumere la droga tranquillante del gradualismo.
Adesso è il momento di tradurre in realtà le promesse della democrazia.
Adesso è il momento di risollevarci dalla valle buia e desolata della segregazione fino al sentiero soleggiato della giustizia razziale. Adesso è il momento di sollevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale per collocarla sulla roccia compatta della fraternità. Adesso è il momento di tradurre la giustizia in una realtà per tutti i figli di Dio. Se la nazione non cogliesse l’urgenza del presente, le conseguenze sarebbero funeste”.