I Dalla Torre, tre generazioni a servizio di otto Papi


AGI – Fu sotto il pontificato di Pio X che Giuseppe Dalla Torre iniziò, giovanissimo, la sua attività di giornalista nella stampa cattolica e il suo impegno nel Movimento cattolico, a livello diocesano e, ben presto, a quello nazionale. Ma la storia della famiglia Dalla Torre parte in realtà dal Leone XIII, perché furono le grandi encicliche di Papa Sarto, il padre della Dottrina Sociale, il pastore esile e forte che traghettò la Chiesa nel Novecento, ad ispirare l’impegno associativo e giornalistico del capostipite: le encicliche sulla democrazia, sulle libertà, sui rapporti tra la Chiesa e gli Stati, e sopra tutte quella Rerum novarum alla quale si era formato da giovanissimo nei circoli cattolici della sua diocesi, ma prima ancora nella cerchia familiare.

Una storia che arriva ad oggi, al papato di Francesco, con la figura di fra Giacomo Dalla Torre, il gran maestro dell’Ordine di Malta, leale collaboratore di Bergoglio nel recupero di questa gloriosa istituzione, che rischiava di tradire il propoprio mandato apostolico.

Il fratello di fra Giacomo, l’insigne giurista Giuseppe Dalla Torre (storico rettore e rifondatore della LUMSA, già presidente del Tribunale della Città del Vaticano e protagonista della revisione del Concordato in qualità di segretario della Commissione mista Italia-Vaticano che preparò il testo dell’accordo) racconta nel suo “Papi di Famiglia” (edizioni Marcianum Press)  le quattro generazioni dei Dalla Torre che hanno avuto l’onore di relazionarsi a diverso titolo con otto pontefici.

La prefazione di Parolin

Nella prefazione, il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, si richiama ad una chiave di lettura che predilige la conoscenza approfondita della personalità umana a volte nascosta dei successori di Pietro con cui Giuseppe Dalla Torre ha condiviso alcuni episodi della sua vita che nel rispetto del privato lasciano intravedere un che di intimo che non troveremo mai nei protocolli ufficiali. Uno spunto di immagine di pontificato che rifugge da note agiografiche e dal culto della personalità dei singoli. Una narrazione avvincente attraverso le varie epoche che l’autore ha vissuto in prima persona

Sullo sfondo delle due guerre mondiali, dell’avvento del fascismo, dell’Italia repubblicana e della rinascita democratica del nostro paese, vengono narrate le vicende personali con toni intrisi di emozioni da parte di coloro che si sono succeduti nel tempo intersecando le loro vite negli ambienti dello Stato Vaticano. 

Il ritratto di Giuseppe Dalla Torre

Nato il 19 marzo 1885 a Padova, ma da famiglia originaria di Treviso, il giornalista Giuseppe Dalla Torre apparteneva a quella generazione di veneti che seguì il Pontefice veneto; generazione in seno alla quale egli cominciò a distinguersi fra coloro che segnarono il progressivo distacco dalle ormai sempre più difficilmente sostenibili posizioni dell’intransigentismo, per aprirsi con prudenza ed equilibrio alle prospettive nuove che poi sarebbero maturate.

Fu Benedetto XV a confermare il giornalista Giuseppe dalla Torre come presidente dell’Unione popolare perché “contribuisse alla preparazione delle coscienze per la restaurazione cristiana della società, al di fuori e al di sopra dell’azione politica”. Dalla Torre contribuì così alla affermazione di quella distinzione rispetto al partito politico di ispirazione cattolica che, proprio sotto la sua presidenza dell’Azione cattolica italiana, avvenne con la fondazione del Partito popolare da parte di don Luigi Sturzo. Sempre da Papa Della Chiesa fu nominato, nel 1918, presidente del consiglio di amministrazione dell’Osservatore Romano, di cui divenne direttore nel 1920, mantenendo questa carica fino al 1960.

Durante l’età di Pio XI, segnata dall’avvento delle grandi dittature, il giornalista Dalla Torre conobbe un rapporto meno familiare del precedente con il Pontefice, che lo protesse tuttavia nelle sue battaglie contro il razzismo in Italia e in Germania. E giustamente preoccupato per le possibili conseguenze personali e familiari delle sue polemiche giornalistiche — vi fu, proprio nel 1931, un tentativo di arresto di Dalla Torre per ordine di Mussolini — Pio XI volle che il direttore dell’Osservatore Romano e i suoi familiari fossero tra i primi cittadini vaticani, ponendoli così al riparo; così come volle che le salme di due suoi figli morti fossero trasferite nella cripta della chiesa vaticana di Sant’Anna, onde evitare al direttore il gravoso andare quotidiano al cimitero del Verano, per pregare sulla loro tomba.

La figura di Paolo Dalla Torre

Paolo Dalla Torre, padre dell’autore, laureatosi con una tesi sulla battaglia di Mentana del 1867, pubblicata e fatta oggetto di sequestro firmato da Mussolini perché in contrasto con le direttive ufficiali della storiografia del regime, dopo la caduta del regime e la fine della guerra si presentò, dietro sollecitazione di mons. Montini, futuro Paolo VI, alle prime elezioni municipali di Roma, e fu eletto consigliere comunale, assessore alle Antichità e Belle Arti e dal 1959 pro-sindaco.

Sotto il pontificato di Giovanni XXIII, nel 1960 fu nominato direttore generale dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie. Studioso e ammiratore di Pio IX, si impegnò a lungo per la causa di beatificazione collaborando alla rivista “Pio IX. Studi e ricerche sulla vita della Chiesa dal Settecento ad oggi”.

L’incontro con Papa Wojtila

Nel libro, l’autore racconta poi del suo primo incontro con Papa Wojtyla ad un convegno dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani di cui inizialmente era segretario centrale e in seguito è stato presidente centrale.

Come rettore dell’Università LUMSA , il prof. Dalla Torre ha avuto occasione di incontrare Papa Wojtyla in eventi correlati al ruolo cattolico che l’Istituto svolge nella didattica condividendone il pensiero che “…una Università non solo è finalizzata all’apprendimento del sapere ma al raggiungimento del rispetto dell’organizzazione intrinseca delle conoscenze.”

Con Giovanni Paolo II si completa il cursus honorum dell’attività giuridica vaticanense di Giuseppe Dalla Torre che ricoprirà il ruolo di presidente del Tribunale della Santa Sede per 25 anni. Ma il professor Dalla Torre è stato protagonista anche nel Pontificato di Benedetto XVI e nei primi anni di quello di Francesco, guidando il Tribunale Vaticano investito dalla bufera dei processi Vatileaks.

Papa Francesco

E il libro si chiude con una importante sottolineatura che parte dalle parole di Paolo VI: “Con questo Vaticano,  non ci sarà mai un Papa di nome Francesco”. “Come un ossimoro – commenta l’autore – la previsione del Pontefice bresciano non si è verificata, ma al tempo stesso si è verificata. Non si è verificata, nella misura in cui la predizione secondo la quale non ci sarebbe mai stato un Papa di nome Francesco è chiaramente mancata. E però si è verificata appieno perché appena il nuovo Papa si è dato quel nome, in Vaticano nulla è stato più come prima.

Sin dal primo momento Papa Bergoglio si è messo con piglio a rimuovere i sedimenti del passato ed ha manifestato una forza rinnovatrice non comune, paragonabile nei tempi moderni solo a quella di Paolo VI, nella stagione immediatamente successiva alla conclusione del Concilio Vaticano II, peraltro condotta in maniera più graduale, morbida e diplomatica”. 

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Fonte: cultura agi