Chi avesse dubbi sulla necessità di impedire che le macchine decidano della pace e della guerra o dispongano del potere di decidere della vita o della morte degli uomini, si ricordino di un precedente. Quello del 1983 quando, in piena Gierra Fredda e durante la crisi internazionale per il dispiegamento degli Euromissili, un omputer stava per scatenare la guerra ed un uomo salvò letteralmente, grazie al suo discernimento, l’intera umanità dalla catastrofe nucleare.
A ricordare il precedente, all’indomani del discorso sull’Intelligenza Artificiale pronunciato da Papa Francesco al G7 di Borgo Egnazia, è Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede.
“C’è un episodio, accaduto quarant’anni fa, che dovrebbe diventare un paradigma ogni qual volta si parla di intelligenza artificiale applicata alla guerra, alle armi, agli strumenti di morte”, scrive su Vatican News, “Ed è la storia dell’ufficiale sovietico che con la sua decisione, contravvenendo ai protocolli, ha salvato il mondo da un conflitto nucleare che avrebbe avuto conseguenze catastrofiche”
Quell’uomo, ricorda Tornielli, “si chiamava Stanislav Evgrafovich Petrov, era un tenente colonnello dell’esercito sovietico e il 26 settembre 1983 prestava servizio notturno nel bunker ‘Serpukhov 15′, monitorando le attività missilistiche degli Stati Uniti. La Guerra Fredda era ad una svolta cruciale, il presidente americano Ronald Reagan stava investendo somme ingentissime negli armamenti e aveva appena definito l’Urss ìimpero del male’, la Nato era impegnata in esercitazioni militari che ricreavano scenari di guerra nucleare. Al Cremlino sedeva Jurij Andropov che da poco aveva parlato di un «acuirsi senza precedenti» della crisi e il 1° settembre i sovietici avevano abbattuto un aereo di linea della Korean Air Lines sulla penisola di Kamchatka provocando 269 vittime”.
Quella notte del 26 settembre Petrov vide che l’elaboratore Krokus, il cervellone considerato infallibile nel monitorare l’attività nemica, aveva segnalato da una base del Montana la partenza di un missile diretto in Unione Sovietica.
“Il protocollo prevedeva che l’ufficiale avvertisse immediatamente i superiori, i quali avrebbero dato il via libera per la risposta lanciando missili verso gli Stati Uniti” sottolinea Tornielli, “ma Petrov prese tempo, anche perché — gli era stato detto — un eventuale attacco sarebbe stato massiccio. Considerò dunque quel missile solitario un falso allarme. E fece lo stesso per i quattro successivi che poco dopo apparvero sui suoi monitor, chiedendosi perché dai radar di terra non arrivasse alcuna conferma. Sapeva bene che i missili intercontinentali impiegavano meno di mezz’ora per arrivare a destinazione ma decise di non lanciare l’allarme, lasciando impietriti gli altri militari presenti”.
In realtà “il cervellone elettronico aveva sbagliato, non c’era stato alcun attacco missilistico. Krokus era stato tratto in inganno da un fenomeno di rifrazione della luce solare a contatto con le nubi ad alta quota. Insomma, l’intelligenza umana aveva visto oltre quella della macchina. La provvidenziale decisione di non decidere era stata presa da un uomo, il cui giudizio aveva saputo guardare oltre i dati e i protocolli”.
Conclude Tornielli: “Era stato l’uomo in grado di valutare il possibile errore della macchina considerata infallibile, l’uomo capace — per tornare alle parole del Papa — ‘di giudizio morale e di decisione etica’, perché una macchina, per quanto intelligente, rimane pur sempre una macchina”.(AGI)