AGI – La Moscow-Washington hotline, la ‘linea rossa’ diretta che ha scandito oltre quarant’anni di Guerra Fredda tra gli Stati Uniti e l’allora Unione Sovietica, compie sessant’anni.
Complice la guerra in Ucraina che ha riacceso il confronto tra le due potenze nucleari, la ricorrenza oggi acquista un significato diverso obbligando a una nuova riflessione: se, da una parte, la sfida tra le due capitali è destinata a durare, dall’altra, quel collegamento telefonico diretto tra Casa Bianca e Cremlino aperto il 30 agosto 1933, sulla scia della crisi di Cuba, ci ricorda che la comunicazione finora è riuscita a scongiurare il peggio, il confronto nucleare, e con tutta probabilità continuerà a servire per allontanare fraintendimenti e incomprensioni.
Nell’ottobre del 1962, con la crisi di Cuba, la tensione tra Mosca e Washington toccò il suo punto più critico: dopo la vittoria della rivoluzione castrista e il fallimento del tentativo della Cia di rovesciare il primo leader maximo filo-comunista latinoamericano, si evito’ per un soffio una terza guerra mondiale quando Washington scoprì che i sovietici stavano per portare sull’isola testate nucleari in grado di colpire gli Usa.
I giorni di crisi seguenti tennero tutto il mondo col fiato sospeso e furono caratterizzati da scambi diplomatici al cardiopalma tra le due Capitali anche perché le linee erano disturbate e lente: i messaggi criptati dovevano essere trasmessi via telegrafo o via radio tra il Cremlino e il Pentagono, sede della Difesa Usa.
Il “red telephone”
Sebbene Kennedy e Kruscev fossero riusciti a risolvere quella crisi (uno dei rari casi di vittoria della diplomazia in campo militare) pacificamente, il timore di futuri “malintesi” portò all’introduzione del nuovo sistema di comunicazione. In una dichiarazione diffusa il 30 agosto di 60 anni fa, la Casa Bianca spiegò che la linea telefonica diretta avrebbe “contribuito a ridurre il rischio di una guerra per incidente o errore di calcolo” salutando come “epocale” la tecnologia che l’aveva resa possibile: invece dei telegrammi spediti tra le due sponde dell’Oceano, i leader dei due Paesi in caso di ‘emergenze’ avrebbero potuto semplicemente alzare il telefono e sentirsi istantaneamente, in qualsiasi momento della giornata, sette giorni alla settimana.
Il ‘red telephone’ comprendeva due telescriventi, un circuito per il telegrafo a doppio filo (Washington-Londra-Copenhagen-Stoccolma-Helsinki-Mosca) e un secondo circuito a doppio filo per il radio-telegrafo (Washington-Tangeri-Mosca), entrambi attivi 24 ore su 24.
Fu il New York Times, in un celebre articolo dell’epoca, a descriverne il funzionamento: Kennedy avrebbe trasmesso un messaggio al Pentagono via telefono che sarebbe stato immediatamente digitato in una telescrivente, criptato e inserito in un trasmettitore.
Il messaggio in pochi minuti sarebbe giunto al Cremlino: prima delle telescriventi ci avrebbe impiegato ore. La nuova tecnologia non offriva comunque un tipo di comunicazione paragonabile a quella realmente istantanea, via email o cellulare, di oggi ma era comunque una molto più veloce e affidabile.
La ‘hotline’ non era utilizzabile per normali scambi di routine ma solo per vere emergenze, come quella vissuta nel 1967 dall’ex presidente Usa Lyndon Johnson (storicamente il primo utente della linea rossa) durante la Guerra dei Sei Giorni tra Israele e paesi arabi confinanti, quando comunicò all’allora premier sovietico Alexei Kosygin che stava vagliando un possibile invio di aerei dell’Air Force nel Mediterraneo.
Nel 1985 alla linea rossa fu aggiunto anche un collegamento via fax, sistema che utilizzò l’allora presidente Gorbaciov, l’ultimo dell’era sovietica, per trasmettere al suo omologo Usa, il Presidente Ronald Reagan, una lunghissima lettera manoscritta rimasta alla storia come ‘rompicapo’ per i traduttori.
Gorbaciov e Reagan furono anche gli ultimi capi di Stato a utilizzare la linea rossa che nel 1991, anno in cui l’Unione Sovietica riprese il nome di Federazione Russa, venne rimpiazzata con un collegamento telefonico di nuova generazione utilizzato anche dagli ex presidenti Boris Eltsin e George Bush Senior.
Gli scenari futuri
Se quella ‘linea rossa’, immortalata in film e documentari storici, sembra già entrata negli annali di storia, il fatto che a distanza di 60 anni se ne celebri ancora l’attivazione la dice lunga sul clima di confronto che ancora caratterizza le difficili relazioni bilaterali russo-americane.
Una sfida che dura da quasi un secolo (nel 1933, ben prima della cortina di ferro, Washington riconobbe ufficialmente l’Unione Sovietica uscita dalla rivoluzione) e che, al netto dell’alleanza per comuni interessi stipulata nella seconda guerra mondiale, è stata raramente intervallata da periodi di distensione. Perché, come molti sostengono, gli Stati Uniti difficilmente rinunceranno al dominio globale. E la Russia difficilmente riuscirà a guarirsi dalla sindrome dell’accerchiamento e dal bisogno di ‘allargarsi’.
“Nulla fa pensare – aveva sostenuto Vitalij Tretjakov – che nell’immediato un qualche concorso di circostanze trasformi Stati Uniti e Russia in partner strategici”. Quell’incompatibilità tra i due paesi che si riscontrava del secondo dopoguerra resta di grande attualità e tutto porta a pensare che, proprio come allora, una comunicazione trasparente ed efficace sarebbe chiave per uscirne.