Hegel: la fenomenologia dello spirito


1. Struttura dell’opera
Nel 1807 Hegel pubblica la Fenomenologia dello spirito, opera in cui studia come lo spirito si manifesta nella realtà attraverso la coscienza umana. Fenomenologia significa infatti “scienza di ciò che appare”.
La Fenomenologia è divisa in due parti:
-nella prima viene studiato come lo spirito si manifesta nei singoli individui
-nella seconda parte viene studiato come lo spirito si manifesta nelle collettività
Attraverso questi due passaggi viene quindi spiegato come lo spirito trovi una sua prima espressione innanzitutto nell’individualità, trovando però un suo pieno compimento solo nelle manifestazioni collettive, universali.
Ognuna delle due parti è suddivisa in tre gradi di manifestazione dello spirito, secondo un andamento di tipo dialettico.
Per quanto riguarda la prima parte questi sono:
-la coscienza (tesi)
-l’autocoscienza (antitesi)
-la ragione (sintesi)
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Per quanto riguarda la seconda parte questi sono:
-lo spirito (tesi)
-la religione (antitesi)
-il sapere assoluto (sintesi)
In ognuno di questi gradi il percorso dello spirito è presentato da Hegel attraverso delle cosiddette “figure idealtipiche”, ovvero figure simboliche che rappresentano un momento dello spirito, ovvero un certo momento storico, culturale o filosofico.
Qui andiamo ad analizzare solo la prima parte, che è quella su cui lo stesso Hegel si è soffermato maggiormente, in quanto i contenuti della seconda sono stati affrontati dal filosofo con più precisione in altre opere.

2. La coscienza
La coscienza è descritta da Hegel come il momento in cui il soggetto pensa di incontrare la verità fuori di sé, nell’oggetto, ovvero nella natura.
La coscienza è rappresentata da tre figure:
-certezza sensibile
-percezione
-intelletto
Certezza sensibile
La certezza sensibile è il momento in cui la coscienza avverte come reale quello che può conoscere attraverso i sensi.
Per fare un esempio: se ci troviamo di fronte a una mela riteniamo quella mela sicuramente reale perché attraverso il tatto, la vista, l’olfatto e via dicendo possiamo verificare la sua esistenza. Questo tipo di conoscenza, che appare la più solida, ci pone però dei problemi:
1. i sensi ci possono ingannare
2. attraverso i sensi possiamo conoscere solo quello che è davanti a noi, ciò che è ora e qui. Ma questo vuol dire che la conoscenza è molto limitata, perché, per rimanere nell’esempio, posso essere certo della mela che ho ora di fronte a me, ma di questa mela domani, che non sarà più davanti a me, non potrò dire nulla di certo
3. questa conoscenza è molto limitata, non diventa mai generale. Rimaniamo sempre nell’esempio: nel momento in cui conosciamo questa mela, conosciamo solo questo singolo oggetto, non abbiamo una conoscenza delle mele in generale

Percezione
Emersi i limiti della certezza sensibile, subentra il secondo momento che è la percezione.
Cerchiamo quindi di capire cosa si intende con questo termine.
La conoscenza che abbiamo espresso della mela si fonda su concetti come “qui”, “ora”, “questo”. Ma questi concetti a chi appartengono? Alla mela? A ciò che è fuori di noi? Ovviamente no, ma al soggetto che percepisce la mela e dice: “questa mela è qui e ora”.
E aggiungiamo un altro elemento: attraverso i sensi noi percepiamo dati molteplici della realtà. I colori, gli odori e via dicendo. Ma è l’io che unifica questi dati nel momento in cui percepisce la realtà e arriva a definire un’unica sostanza affermando: “questa è una mela”.
Praticamente comincia a realizzarsi uno slittamento della conoscenza: il soggetto comincia a comprendere che la conoscenza appartiene a chi la esprime.

Intelletto
si giunge così alla terza figura, quella dell’intelletto che rappresenta la chiusura del cerchio della coscienza. L’intelletto è il momento in cui l’io comprende che la realtà, per dirla con termini kantiani, è un fenomeno: gli oggetti non esistono in quanto tali, ma come realtà che l’io si rappresenta nella sua coscienza. La coscienza, dunque, non è coscienza di quello che è fuori di noi, ma è dentro di noi.
La coscienza si fa così autocoscienza, ovvero coscienza della propria coscienza.
Entriamo così nel secondo grado di sviluppo dello spirito.

3. L’autocoscienza
L’autocoscienza è descritta da Hegel come il momento in cui il soggetto non cerca più la verità nella natura, ma all’interno di sé stesso.
I passaggi dell’autocoscienza sono tre:
1. La dialettica servo-padrone
2. Stoicismo e scetticismo
3. La coscienza infelice

La dialettica servo-padrone
Nel momento in cui la coscienza si fa autocoscienza sorge un problema: l’autocoscienza avverte l’esistenza dell’autocoscienza degli altri e quindi cerca un riconoscimento di sé negli altri.
Questa volontà di vedersi riconosciuti finisce per generare un conflitto, in quanto ogni autocoscienza vuole affermare se stessa, la propria indipendenza e la propria visione del mondo.
In questo scontro fra autocoscienze vi è chi è disposto a lottare fino all’ultimo e chi invece pur di avere salva la vita è disposto a rinunciare alla propria indipendenza. Da un lato si crea così la figura del signore, dall’altro quella del servo: si produce così la prima figura dell’autocoscienza, ovvero la dialettica servo-padrone.
Il signore è colui che si è imposto sul servo, il quale a sua volta si è sottomesso al signore e vive al suo servizio.
Ma il rapporto fra i due ruoli presto si ribalta: il signore infatti finisce per avere necessariamente bisogno del servo per vivere, perché senza di esso non è in grado di procurarsi i beni di cui ha bisogno. In altre parole: il signore diventa servo del servo.
Il servo, viceversa, diventa libero, in quanto mettendosi a servizio del signore impara a disciplinare i propri impulsi naturali e attraverso il lavoro produce cose di cui non si serve, e quindi impara a essere indipendente dagli oggetti.
Attraverso la dialettica servo-padrone, lo spirito inizia così un percorso sempre più interno al soggetto, con cui il soggetto cerca una liberazione dall’oggetto, ovvero dalla natura e dai suoi mezzi.
Stoicismo e scetticismo
Dopo la dialettica servo-padrone giunge la seconda figura, quella del confronto fra il filosofo stoico e il filosofo scettico. Questa figura rappresenta l’evoluzione filosofica della volontà dello spirito di liberarsi dalla dipendenza dalla natura.
Il filosofo stoico è colui che cerca di liberarsi dalle passioni, rendendosi indipendente dai condizionamenti della realtà esterna. Lo stoico però, così facendo, nel suo tentativo di trovare la libertà interiore continua a sentire l’esistenza della realtà esterna.
Lo stoico diventa così lo scettico, rappresentante di una filosofia che pretende di sospendere ogni possibile giudizio sulla realtà delle cose, di affermare dunque che nulla è vero.
Il filosofo scettico va però incontro a un fallimento perché cade in contraddizione: nel momento in cui sostiene che nulla sia vero finisce per affermare una verità e quindi toglie fondamento alla possibilità di negare ogni verità. La sua ricerca dunque fallisce.
La coscienza infelice
Dal fallimento dello stoicismo nasce la terza figura dell’autocoscienza: la coscienza infelice.
La coscienza infelice è lo spirito che, negata ogni verità nella natura, cerca la verità in un oltre la natura, in Dio. Questa coscienza è però per l’appunto infelice in quanto la verità, essendo al di là della natura, non è raggiungibile.
Questa separazione fra soggetto e Dio, fra soggetto e verità, inizia secondo Hegel con l’ebraismo che colloca l’assoluta verità in un Dio totalmente trascendente, ovvero totalmente separato dal mondo.
A tentare di superare questa separazione è il cristianesimo, che con la figura di Cristo rende Dio incarnato e dunque accessibile. Ma di una accessibilità soltanto sempre apparente.
Il discorso di Hegel si riferisce in particolare al cristianesimo medievale, che rappresenta il momento in cui la religione incide maggiormente sulla vita sociale e politica, basti pensare ad esempio al fiorire dello stile di vita monacale o all’epopea della crociate.
Nelle sue estreme conseguenze è durante il cristianesimo medievale che la coscienza raggiunge il suo massimo grado di infelicità, attraverso le figure degli asceti, coloro che mortificano il proprio corpo arrivando così a negare il proprio io nell’estremo tentativo di trovare Dio.
La coscienza infelice, attraverso l’ascetismo, rappresenta dunque la massima caduta dello spirito. Ma giunto nel punto più basso, lo spirito ribalta i ruoli: attraverso la coscienza infelice si manifesta infatti l’estremo tentativo di raggiungere Dio, ma nel momento in cui questo tentativo fallisce, lo spirito comprende che Dio non va cercato all’esterno, ma all’interno, nel soggetto stesso.
4. La ragione
Passiamo così dal secondo grado dello spirito, quello dell’autocoscienza, al terzo grado, quello della ragione.
La ragione rappresenta, filosoficamente, il momento in cui l’uomo ha posto il fondamento di ogni conoscenza sulla ragione stessa. Storicamente questo è il passaggio dal mondo medievale, in cui la religione rappresenta il fondamento della società, all’età moderna, dove nasce la nuova scienza.
Hegel descrive la ragione come il momento di sintesi fra coscienza e autocoscienza, in cui lo spirito avverte l’unità fra soggetto e oggetto, fra individuo e natura.
I passaggi della ragione sono:
1. Ragione osservativa
2. Ragione attiva
3. Individualità in sé e per sé
Ragione osservativa
Da un punto di vista culturale la ragione osservativa è quel percorso di conoscenza filosofica rappresentato dal Rinascimento e dai suoi sviluppi, in cui l’uomo, attraverso l’osservazione della natura, finisce per pensare di essere in grado di dominare la natura stessa. La ragione osservativa si risolve però in uno scacco: ridurre ogni conoscenza a pura conoscenza materiale della natura, toglie uno spazio spirituale alla realtà. Lo spirito così rischia di eliminare se stesso.
Ragione attiva
Questa crisi tenta di essere superata dalla seconda figura, ovvero la ragione attiva. In questa seconda figura, la ragione comprende che non può trovare se stessa esclusivamente nella natura esterna, ma deve realizzare una unità fra se stessa e il mondo esterno.
Inizia così un percorso però anch’esso fallimentare: la ragione individuale osserva il mondo sociale intorno a sé e lo trova ingiusto, immorale e cerca così di imporre la propria visione, di imporre alla società ciò che essa stessa ritiene virtuoso. Qui si apre però una contraddizione: per imporre la propria visione virtuosa del mondo, la ragione deve imporsi sulla realtà concreta e piegarla alle proprie prospettive. Ma qui nascono e il fanatismo e le storture storiche come il Terrore giacobino nel corso della rivoluzione francese, che nasce come tentativo di realizzare una società migliore, ma che per produrre questa società finisce per dare vita a una drammatica repressione delle opposizioni.
La ragione attiva fallisce così nel suo tentativo di modellare il mondo a propria immagine e si giunge al terzo momento, quello dell’individualità in sé e per sé.
Individualità in sé e per sé
L’individualità in sé e per sé è innanzitutto il chiudersi in se stessi, il dedicarsi ai propri interessi, ai propri doveri. A partire da questo punto nascono poi le figure della “ragione legislatrice” e “la ragione esaminatrice delle leggi”: ovvero, l’individuo cerca in sé la legge morale e finisce per elevare questa legge a legge universale. Ma così facendo l’io si pone al di sopra delle leggi. Anche in questo caso quindi la ricerca dello spirito cade in contraddizione, perché rimane l’impossibilità di coniugare lo spirito individuale con la pretesa dell’universalità.
Si entra così nella seconda fase della ricerca della Fenomenologia. Lo spirito supera le contraddizioni di questa prima parte del percorso comprendendo che la ragione nella storia non è impressa dai singoli individui, ma dalle collettività e dalle loro istituzioni storiche e culturali.
Ma questa è un’altra storia che, come detto, non affronteremo.

Fonte: https://pilloledistoriaefilosofia.com/2022/08/31/hegel-la-fenomenologia-dello-spirito/