AGI – Inaffondabile Hamid Karzai: il primo presidente dell’Afghanistan post-talebani, eletto nel 2004 per due mandati, esponente della tribù pashtun Popalzai, figlio e nipote di esponenti politici dell’epoca del sovrano Mohammad Zahir Shah (il padre, capo dei Popalzai, fu ucciso nel 1999, quando la famiglia si trovava in esilio in Pakistan), torna in pista con un importante ruolo di mediatore fra i vincitori del momento, ovvero gli “odiati” talebani, il governo in fuga e la comunità internazionale.
Con la sua barba ben curata, in clamoroso contrasto con i barboni incolti degli studenti coranici, e i colori degli abiti tradizionali indossati con grazia, fu definito dal famoso stilista americano Tom Ford, all’epoca in cui era il direttore stilistico di Gucci, “l’uomo più chic del pianeta”.
Era l’inizio del 2002, Karzai, allora appena 44 enne, era appena stato scelto come presidente ad interim di un Afghanistan che con l’aiuto delle truppe Usa intervenute subito dopo gli attentati dell’11 settembre aveva cacciato i talebani dopo i lunghi e pesanti anni del loro governo oscurantista. Alle prime elezioni, nel 2004, fu eletto presidente dal voto popolare e alle successive riconfermato al ballottaggio.
Nella sua lunga vita politica è stato inizialmente sostenitore dei Mujahiddin dall’esilio pakistano all’epoca dell’invasione sovietica, poi simpatizzante dei talebani, successivamente nuovamente esule in Pakistan e contro il loro regime.
Fu poi sostenitore degli Usa quando giunsero in Afghanistan e nei primi anni del suo governo, per finire con l’essere loro ostile e con il rifiutarsi, pochi mesi prima di lasciare il potere a favore del successore Ashraf Ghani, di firmare l’accordo che permetteva alle truppe americane di restare nel Paese anche dopo il ritiro inizialmente previsto nel 2014. L’accordo fu poi firmato da Ghani, da Karzai considerato un traditore, subito dopo il suo insediamento nel settembre 2014.
Nella decina di anni da presidente, oltre a diversi attentati alla sua vita, ha dovuto affrontare molte sfide: un Paese da ricostruire, l’ingombrante presenza delle truppe internazionali, la caccia e l’uccisione del “terrorista in capo” Osama bin Laden da parte degli americani, la gestione dei potenti capi delle tribù, la corruzione a tutti i livelli amministrativi e dell’esercito, una popolazione in forte crescita (all’inizio del millennio gli Afghani erano 20 milioni, oggi quasi il doppio, 38 milioni) e tante critiche per le sue posizioni cangianti.
Ora il nome del presidente più elegante torna a essere in prima pagina sui giornali del mondo intero: non solo per la mediazione nei colloqui di Doha, ma anche perché è il nome di quell’aeroporto di Kabul teatro in questi giorni dei drammatici tentativi di fuga di migliaia di afghani terrorizzati dal ritorno al potere dei talebani.
Source: agi