Groenlandia: la Danimarca ha una bella gatta da pelare


di Alessandro Maran

Mentre aspettiamo di vedere se la minaccia espansionistica sulla Groenlandia metterà in discussione la linea decisa a Bruxelles di non alzare la voce con il nuovo presidente americano nella speranza di costruire buone relazioni, e mentre Donald Trump Jr. arriva nella capitale della Groenlandia, Nuuk, Jessica Karl di Bloomberg ironizza: “Le probabilità che Trump, un uomo che nega ripetutamente l’impatto del riscaldamento globale, convinca 57.000 residenti a cantare allegramente ‘The Star-Spangled Banner’ sono piuttosto basse” (https://www.bloomberg.com/…/trump-wants-to-make…). Sempre su Bloomberg, il columnist Andreas Kluth liquida le dichiarazioni di Trump come “provocazioni” che resuscitano il peggio della politica mondiale: “No, non invaderà Panama, non conquisterà la Groenlandia, né annetterà il Canada. Ma abbandonerà i principi per il potere e dividerà il globo in sfere di influenza”.
“Come afferma il presidente panamense José Raul Mulino, in un modo che le sue controparti canadesi e danesi approverebbero: ‘La sovranità e l’indipendenza del nostro paese non sono negoziabili’. Così affermano la lettera e lo spirito del diritto internazionale, incluso un trattato (ratificato dal Senato degli Stati Uniti nel 1978) nel caso panamense, e più in generale la carta delle Nazioni Unite, così come redatta e firmata dopo la seconda guerra mondiale sotto lo sguardo benevolo degli Stati Uniti. Tutti i presidenti americani da allora, tranne Trump, hanno accettato i suoi principi come palesemente buoni e favorevoli all’interesse nazionale dell’America. Il sistema risultante è quello che Washington ha a lungo definito l’ordine internazionale “liberale” o “basato sulle regole”. Per quanto imperfetto, si sforza di bilanciare la forza con il diritto, gli interessi con i valori e il realismo con l’idealismo.
Con le sue provocazioni, Trump sta ancora una volta lasciando intendere che disdegna questa definizione più ampia, seppur astratta, degli interessi americani, e che intende invece emulare piuttosto che opporsi a personaggi come Putin e Xi, che parlano il linguaggio della forza bruta e delle sfere di influenza. Quindi se la prende con tre paesi dell’emisfero occidentale, considerati sotto il dominio di Washington da quando James Monroe proclamò la sua dottrina due secoli fa. Se c’è un segnale per Mosca e Pechino, potrebbe essere che Trump asseconderà le allucinazioni su “l’unità storica di russi e ucraini” o teorie equivalenti sullo stretto di Taiwan, finché, vicino casa, potrà parlare in modo eclatante e portare un grosso bastone”.
“Non c’è niente di nuovo – prosegue Kluth – in questa visione del mondo; è semplicemente un ritorno alla norma storica negli affari internazionali, che gli studiosi chiamano anarchia e che a volte può assomigliare a un ring di pugilato. Oggi più che mai, questo stato di default può adattarsi alle grandi potenze. Ma le nazioni più piccole ovunque dovrebbero rileggere il capitolo di Tucidide sul saccheggio di Melo e rabbrividire. Trump non invaderà Panama, la Groenlandia o il Canada. Ma non difenderà nemmeno l’Ucraina; né, forse, Taiwan o persino il Giappone o l’Estonia” (https://www.bloomberg.com/…/trump-s-trash-talk-revives…)
La Danimarca ha puntualizzato che la Groenlandia, situata in una posizione strategica e ricca di minerali, non è in vendita (https://www.politico.eu/…/greenland-not-for-sale…/). Re Federico X ha recentemente aggiornato lo stemma reale della Danimarca, dando alla Groenlandia maggiore risalto (https://www.nytimes.com/…/denmark-coat-of-arms-trump…). Ma cosa ne pensano i groenlandesi? Meno noto è il fatto che la Groenlandia ha una forte vena indipendentista. Il sito web turistico del governo rileva: “La Groenlandia ha il diritto di dichiarare l’indipendenza. … Sebbene sia riconosciuto che la maggior parte dei groenlandesi sia a favore dell’indipendenza, le opinioni e le strategie su come raggiungere questo status sono molteplici” ( https://visitgreenland.com/…/greenlands-modern-path-to…/). Il primo ministro groenlandese Múte Egede, che proviene da un partito pro-indipendenza, ha accennato ai preparativi per un referendum nel discorso di Capodanno, scrive Seb Starcevic per POLITICO Europe (https://www.politico.eu/…/greenland-prime-minister…/).
Quando le velleità di Trump sulla Groenlandia sono saltate fuori in precedenza, nel 2019, The Economist ha scritto che alcuni groenlandesi pensavano che Trump “avrebbe dovuto chiedere prima a loro”. La rivista scriveva: “I grintosi parlamentari della Groenlandia (…) concordano tutti sul fatto che la sovranità dell’isola non è in vendita. Ma sono lusingati dell’interesse degli estranei e insistono sul loro diritto di parlare con tutti gli interessati. Come dice (l’ex primo ministro groenlandese Aleqa) Hammond: ‘Se il signor Trump vuole discutere della Groenlandia, che venga qui, non in Danimarca’” (https://www.economist.com/…/greenlanders-say-donald…).
Queste dinamiche lasciano la Danimarca con una bella gatta da pelare, ha scritto Michael Paul per il German Institute for International and Security Affairs nel 2021: “Mentre Copenaghen vuole ovviamente mantenere la Groenlandia nel regno danese, deve anche finanziare le iniziative del territorio verso l’indipendenza. Negare assistenza costerebbe alla Danimarca il sostegno della popolazione della Groenlandia e, in ultima analisi, il suo status geopolitico di stato artico. Le questioni sono più ampie della semplice promozione e sviluppo di elementi dello stato groenlandese. La Danimarca deve trovare il modo di affrontare il suo difficile dilemma di sicurezza: non può preservare la sovranità dell’isola da sola, ma cedere il controllo effettivo agli Stati Uniti sarebbe la fine della Danimarca come stato artico. Quest’ultima sembra particolarmente sgradevole in un momento in cui la rivalità tra le grandi potenze della regione sta crescendo e la situazione della sicurezza si sta deteriorando” (https://www.swp-berlin.org/10.18449/2021C10/).