di Danilo Di Matteo
Per lunghi mesi abbiamo associato il volto e l’azione di Greta Thunberg all’idea di solitudine. Mentre i suoi compagni seguivano le lezioni, il venerdì, ella manifestava, appunto, in solitudine. Solitudine di cui il silenzio finiva per rappresentare quasi una metafora. Non a caso, alcuni, sulla stampa, le suggerivano di tornare a indossare i panni della sedicenne, di divertirsi con i coetanei e di andare al cinema. Invocavano, insomma, una sorta di normalizzazione. Ecco, oggi costoro possono sentirsi appagati. Nel frattempo, infatti, è diventato “normale”, per non poche ragazze e ragazzi di quella generazione, preoccuparsi dell’ambiente ed esprimersi pubblicamente al riguardo, con un’invidiabile e intelligente vis polemica.
In ballo vi è il futuro, certo, ma ancor più il presente. In ciò la sedicenne Greta somigliava tanto alla bambina della fiaba di Andersen, capace di dire ciò che tutti, in realtà, vedevano: l’Imperatore è nudo!
D’altro canto, la sua era (ed è) una sorta di profezia. La capacità di leggere i segni dei tempi, di interpretare dunque il presente e, in base a ciò, di proiettarsi nel futuro rappresenta infatti un aspetto cruciale della profezia. Vocabolo che noi tendiamo, invece, a relegare troppo facilmente nella sfera del “sacro” (disponendo peraltro di un’idea assai approssimativa di quest’ultimo).
Insomma, il merito principale di Greta è di essere ora tutt’altro che sola.
Fonte: liberta’ eguale