Artemisia Gentileschi (1593 – 1652) è famosa per essere stata una delle prime pittrici italiane a raggiungere una fama pari o superiore a quella comunemente associati ai pittori. La sua appassionante storia, legata al complesso e fervente panorama artistico della Roma di inizio ‘600, è però anche legata al processo sullo stupro che la vide vittima, ma che ella ebbe il coraggio di denunciare. Artemisia fu una vera dura, sfidò le convenzioni del tempo ed è oggi ricordata come un’artista di primo piano nella storia dell’arte italiana.
Molti critici hanno fornito una lettura dell’opera della Gentileschi in chiave «femminista». Il percorso biografico della pittrice si è dipanato infatti in una società dove la donna rivestiva un ruolo subalterno, e quindi miseramente perdente. Nonostante ciò, la Gentileschi diede brillantemente prova della sua indole fiera e risoluta e seppe far fruttare il proprio versatile talento, riscuotendo in breve tempo un successo immediato e di altissimo prestigio. Questi «successi e riconoscimenti» osservano, infine, i critici Giorgio Cricco e Francesco Di Teodoro «proprio in quanto donna, le costarono molta più fatica di quanta ne sarebbe stata necessaria a un pittore maschio».
L’iniziale fortuna critica della Gentileschi fu fortemente allacciata anche alle vicende umane della pittrice, vittima dello stupro perpetrato da Agostino Tassi nel 1611. Questo fu indubbiamente un evento che lasciò un’impronta profonda nella vita e nell’arte della Gentileschi, la quale – animata da vergognosi rimorsi e da una profonda quanto ossessiva inquietudine creativa – arrivò a trasporre sulla tela le conseguenze psicologiche della violenza subita.
Questa lettura «a senso unico» della pittrice, tuttavia, è stata foriera di pericolose ambiguità. Molti critici e biografi, intrigati dall’episodio dello stupro, hanno infatti anteposto le vicende umane della Gentileschi ai suoi effettivi meriti professionali, interpretando dunque la sua intera produzione pittorica esclusivamente in relazione al «fattore causale» del trauma subito in occasione della violenza sessuale. Gli stessi storici contemporanei della pittrice misero disonorevolmente in ombra la sua carriera artistica e preferirono interessarsi piuttosto alle implicazioni biografiche che ne segnarono tragicamente l’esistenza.