Godreche, porto a Cannes gli abusi nel cinema


L’attrice francese Judith Godreche, la figura più in vista del movimento #MeToo in Francia, presenterà domani un cortometraggio per denunciare la violenza sessuale nel mondo dello spettacolo d’oltralpe, in quello che sarà uno dei momenti più simbolici del Festival di Cannes. L’opera è un modo per dare un volto alle vittime, di fronte alle “fantasie” che accompagnano le voci sulle aggressioni sessuali, dice l’attrice che sta preparando un lungometraggio. L’agenzia EFE l’ha intervistata.

Domanda: Qual è stata l’idea del suo film, intitolato “Moi aussi” [“Anche io”]?

Risposta: L’idea di fondo è dire: “come te, anch’io ho subito” e dare, a chi ha ne ha il diritto, la possibilità di condividere lo stesso sentimento di vergogna. Come trasformare la vergogna non in orgoglio – nessuno è orgoglioso di essere stato violentato – ma in condivisione.

D: Perché portare questo film a Cannes, un luogo molto simbolico, che è stato palcoscenico anche per il produttore Harvey Weinstein?

R: Il cinema ha una funzione simbolica, quasi divina. Essere l’attrice protagonista di un film che va a Cannes ti dà uno status. Dire che le voci anonime che ci sono nel film saranno anche gli attori principali di un film a Cannes significa dare alla loro testimonianza uno status.

D: Ha fissato le condizioni per la tua partecipazione al concorso, riguardo al modo in cui il festival affronterà la prevenzione della violenza sessuale?

R: Mi fa ridere la quantità di fantasie che mi vengono proiettate addosso. Con il delegato generale del festival Thierry Frémaux non ho parlato di altro che dell’orario della proiezione.

D: Qual è la sua opinione attuale sul movimento #Metoo nei media?

R: Una presa di coscienza c’è, ma passa attraverso annunci troppo teatrali. Non è molto spettacolare essere vittima di un abuso, non è divertente, non è molto teatrale. Le vittime dovrebbero fare causa o parlare con un avvocato, ma non consiglio a nessuno di parlare alla stampa. Quando ti succede qualcosa di grave, ci vuole del tempo per metabolizzarlo. Il motivo per cui le persone non possono parlare è perché hanno paura di perdere il lavoro. Quindi non trovo il circo mediatico molto produttivo. Crea paure in tutti i sensi, fantasie, odi e sviluppa rapporti umani che, in fondo, sono poco costruttivi.

D: Come ha reagito alla revoca della condanna di Harvey Weinstein?

R: È una violenza. Per fortuna c’è ancora la condanna in California. Ma soprattutto mi sono detta: come fa ad avere ancora soldi quando sappiamo quanto costano gli avvocati americani? (AGI)

RED