Gli interessi italiani in Libia – gli attriti con la Francia e lo spauracchio del terrorismo islamico


di Alessandro Scuderi

Che l’Italia abbia interessi strategici in terra di Libia è cosa risaputa; si tratta di un rapporto
“amore-odio” ormai consolidatosi nel tempo, che si trascina da quasi un secolo, e nulla ha
potuto scalfirlo; nemmeno la cacciata degli italiani (e della comunità ebraica libica) del 1970, nè
i missili al largo di Lampedusa, soluzioni estreme e scellerate, entrambi personalmente volute
da Gheddafi. Ma è proprio durante l’epoca del dominio del Rais che Italia e Libia hanno tessuto
il loro legame economico, reciprocamente finalizzato ad uno mero scambio di interessi…do ut
des. Soprattutto adesso che le mire francesi si fanno più pressanti, una volta ottenuta
l’eliminazione di Gheddafi.
C’è poco da menare in can per l’aia, gli opposti interessi italiani e francesi sono legati alla
gestione delle fonti di energia primarie: gas e petrolio, e considerato che l’ENI vanta da decenni
la presenza sul territorio, l’Italia ha un vantaggio non da poco che deve essere mantenuto ad
ogni costo. Per una sorta di diritto di prelazione appare più che giusto che la Total si faccia da
parte.; ma c’è anche da dire che la partita energetica cela comunque anche altri fini. Si tratta, in
fin dei conti, di collocare quante più tessere del puzzle in una corsa contro il tempo. I libici
sanno bene che la loro rete stradale, checchè se ne dica, è italiana; e conoscono bene la bontà
costruttiva dei gasdotti e degli edifici di italica fattura. La Libia, adesso come nell’era Gheddafi,
ha bisogno di porti, aeroporti, strade, autostrade, insomma ha bisogno della tecnologia e del
geniale imprenditoria italiana. Già nel 2008 venne firmata da Berlusconi ed il Rais un trattato di
amicizia che oltra ad aver concesso al defunto leader libico qualche stravaganza di troppo,
prevedeva la costruzione di una importante arteria autostradale costiera che doveva colleghare
la Tripolitania alla Cirenaica. Naturalmente, a causa della guerra e delle ostilità tribali, il progetto
è rimasto sulla carta, ma le aziende italiane scalpitano per iniziare i lavori. Ma come si è detto,
bisogna fare i conti con le fazioni in lotta, ovvero le milizie di Abdel Rahim Al-Kani abilmente
manovrate dal furbo generale Haftar, avverso il premier c.d. “senza terra” Fayez Al Serraj, e
giusto per rimanere nel campo della pragmaticità, sia chiaro che stiamo parlando di riserve
per 49 miliardi di barili di petrolio e 75 miliardi di gas; barile più, barile meno….
Appare chiaro che il problema si risolve con il controllo delle risorse energetiche, ma le risorse
nergetiche, come si controllano con il persistere del caos libico? Perchè la sanguinaria
guerriglia tra le formazioni in campo non si riesce a mediare? Beh, forse a qualcuno serve che
la situazione resti tale affinché l’Italia non approfitti della pace tra le parti per far proliferare i
propri intaressi. E qui si innesca la questione immigrazione, con annessi e connessi.
La posizione geografica nonchè la storia stessa del nostro Paese in ambito mediterraneo,
impongono un ruolo chiave nella complessa tematica afferente i flussi di migranti provenienti
dalle coste africane. La destabilizzazione del paese, costringe l’Italia, già dal 2011, ad affrontare
la più grave crisi migratoria di questi ultimi anni, con un esborso per l’erario davvero enorme.
Basti pensare che una sola ora di volo di un elicottero delle nostre FF.OO/F.F.A.A. è pari a circa
12.000,00 euri… Moltiplicate, anzi decuplicate all’infinito, tenendo presente a tutti i mezzi aerei e
navali di Guardia Costera, Marina Militare, Guardia di Finanza. A tuti i mezzi messi i campo
dalla Polizia di Stato per quanto concerne il controllo dei confini, l’attività di Polizia scientifica e
quella di polizia giudiziaria, volta al contrasto della tratta di esseri umani ed il conto è presto
fatto.
La totale mancanza di una forza politica centrale, e di conseguenza di una gendarmeria e di
una magistratura capace di gestire un territorio così vasto, l’impossibilità di porre in essere un
efficace controllo del territorio medesimo e l’incapacità di imporre una forza coercitiva, facilita
alquanto il lavoro dei trafficanti di esseri umani. Atteso ciò, è precipuo interesse dell’Italia aiutare
la pacificazione dell’area ed promuovere la creazione di una forza militare libica, unica e
riconosciuta a livello internazionale, che possa detronizzare le varie consorterie criminali (anche
italiane) e far venire meno potere e soldi alle milizie, che molto spesso sono coinvolte nello

sporco affare del traffico di esseri umani. Se tutto ciò si realizzasse, la ripresa economica e
sociale di entrambi i Paesi riprenderebbe quota, ma come ho detto prima, la ragion di stato di
altri Paesi potrebbe remare contro.
Non a caso che il premier Conte, ha pensato bene, emulando l’impegno di Minniti, già espresso
con l’Egitto, di volare in Algeria per siglare trattati e patti economici di scambio reciproco. Ben
intuendo che il terreno perso in Libia deve essere ripreso in tutta la porzione di terriorio
maghrebina. Si sta cercando di stringere vincoli di amicizia con Marocco e Tunisia. Dall’Algeria
arrivano importanti quantità di materie prime energetiche, in Tunisia gli scambi commerciali
sono talmente intensi che nel 2016, cosa mai avvenuta prima, l’Italia diventa il partner principe
del paese, sorpassando la Francia. Già, proprio la Francia.
La ripresa dei buoni legami con l’Egitto di Al Sissi, portati a termine sempre da Minniti, con
buona pace di chi continua a sventolare vessilli di guerra per il caso del povero Regeni
(manovrato a mio modestissimo parere dai servizi di sua Maestà), ha consentito all’ENI di
mantenere uno degli più grandi giacimenti presenti nel Mediterraneo. Questo è il motivo cardine
della diplomazia di Roma, ovvero estendere la propria influenza sulla fascia afro mediterranea,
perché è importantissimo mantenere il ruolo guida nella pacificazione libica, anche essendo
presenti nei Paesi vicini, e questo è il metodo per determinare ulteriormente il proprio posto nel
nord Africa.

Gli interessi contrapposti messi in campo indiscriminatamente da Paesi che si dovrebbero
ritenere “amici”, potrebbero però favorire le milizie libiche che si contendono il potere. Prima
accennavo alla necessità di gestire le risorse energetiche; ecco, il problema si sintetizza in
poche righe: se la guerra intestina libica si dovesse prolunghare ancora , ci troveremmo a
dover gestire la crisi, senza un governo alleato presente sul luogo. Ciò innescherà fatalmente
una crisi umanitaria di portata inimmaginabile, con conseguenze tragiche; una inevitabile
esplosione di violenza che esporrebbe tutta l’area mediterranea a pericolose ondate di flussi di
profughi verso l’Europa, favorendo di fatto sacche di debole resistenza per fini terroristici dello
Stato islamico.

Ma veniamo alla vera e propria contrapposizione tra Italia e Francia. Approfittando della
mancanza di una comune politica comunitaria, quindi prendendosi beffe dello statuto stesso
della UE, due tra i Paesi più rappresentativi si affrontano per accaparrarsi il petrolio libico; difatti
l’Italia si è schierata contro Serraj e la Francia contro Haftar, con la speranza che una
fazione vinca sull’altra al fine di soffiare all’antagonista l’esclusiva sull’estrazione dell’oro nero.
Di fatto si tratta di ENI contro Total, ma i francesi dimenticano che il colosso italiano è presente
sul suolo libico da 60 anni ormai, e che con la Libia vanta accordi sulle regole di estrazione e
commercializzazione delle preziosissime risorse, che avranno durata sino al 2042 per il petrolio
e sino al 2047 per il gas. In più, si consideri che nel 2017 l’ENI ha raggiunto l’invidiabilissimo
record di produzione che si attesta attorno ai 385.000 barili (1 barile = 159 lt) e che il
giacimento di gas scoperto dagli italiani si ritiene sia il più grande del Mediterraneo. E ciò fa
tanto male ai francesi…ma così tanto che non è un segreto che la loro strategia, forte di una
poderosa presenza militare nel Sahara, punta sulla scommessa di offrire tecnologia raffinata a
costi più bassi di quelli italiani. Questa netta contrapposizione di interessi tra due Paesi membri
della UE. Svela la precarietà della UE stessa, ovvero della fallita linea comune europea. E con i
risultati di tale fallimento, prima o poi, si dovranno fare i conti….