Giulia: in 10mila per lei, sua storia segni svolta


Il nome di Filippo Turetta non lo pronuncia né lo evoca nessuno. Solo una voce, quando Giulia Cecchettin lascia la basilica di Santa Giustina in una bara bianca, urla “Ergastolo!” nel silenzio del pudore che ha seguito il lungo applauso al termine del funerale. Sono tutti qui per Giulia, per il papà Gino e i fratelli Elena e Davide i diecimila uomini e donne di ogni età, tantissimi ragazzi, dentro la chiesa e fuori, incollati nel gelo ai due grandi schermi in piazza Prato della Valle. E perché, spiega Vincenzo, 73 anni, “i femminicidi devono finire, se posso dire una cosa semplice: ci si deve dare una calmata”. Quasi tutti hanno un fiocco rosso contro la violenza sulle donne infilato sui cappotti, le sciarpe, le borse. Ce l’ha appuntato sulla giacca nera anche Gino Cecchettin al cui abbraccio si aggrappano più volte in lacrime Elena e Davide. Il suo intervento è privato e pubblico come lo è tutto, dall’inizio di questa storia: metà per la “mia Giulia allegra, mai sazia di imparare”, metà “per trasformare questa tragedia in un cambiamento e perché la sua morte deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne”. Evoca Fabrizio De André quando avverte che “da questo tipo di violenza, che è solo apparentemente personale e insensata, si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti anche quando sarebbe facile sentirsi assolti” e “per primi gli uomini che dovrebbero essere gli agenti del cambiamento”. L’’imputato’ che chiama in causa non è il ragazzo reo confesso di avere ucciso Giulia, ma sono “le famiglie, la scuola, la società civile, l’informazione”. Prende le difese di Elena, attaccata da più parti quando parlò di patriarcato, alludendo a chi “si chiama fuori, cerca giustificazioni, difende il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione di chiamarlo col suo nome”. Chiede aiuto a chi “deve intervenire con leggi e programmi educativi mirati”, alla politica rappresentata in chiesa dal Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che lo stringe a sé al momento dello scambio della pace, dal presidente veneto Luca Zaia e dalle corone funebri della Presidenza della Repubblica, della Presidenza del Consiglio, del Senato e della Camera.
“Non possiamo più consentire atti di sopraffazione e di abuso” é l’esortazione anche del vescovo Claudio Cipolla col messaggio ai giovani ad “amare di più e amare meglio”. Per Elena, che per prima ha attribuito una dimensione universale alla figura di Giulia, è invece il giorno solo del ricordo intimo nella chiesa di Saonara, dove la sorella venne battezzata: “Ci sono tante parole che potrei dire in questo momento ma ho deciso che voglio regalarvi un pezzo di Giulia, di quella persona fantastica che era”. Tenere le immagini della sorella “che collezionava le scatole di latta, che non sapeva scegliere il gusto del gelato, che abbracciava gli alberi, perdeva le chiavi, aveva un impermeabile giallo preferito”. “Guardo il cielo e ti vedo in mezzo alle stelle, che fai a metà col gelato della mamma. Prima o poi ci rivedremo, lo prometto, ma fino a quel momento so che sarai con me perché sei il mio angelo custode perché in fin dei conti lo sei sempre stato”. Giulia viene accompagnata tra i palloncini bianchi e le note della colonna sonora che amava del film ‘Il favoloso mondo di Amélie’ al cimitero dove riposa la mamma Monica, morta un anno fa, il sorriso uguale al suo, che oggi risplende dappertutto. Anche sulla facciata della basilica e nelle fotografie sui tavolini di fronte alla chiesa a Saonara che chiunque passi accarezza e mette in tasca. Turetta oggi è lontanissimo, nel carcere di Verona dopo la confessione e la visita dei genitori. Non c’è odio per lui come non se n’è mai respirato nel nome di Giulia. Il vescovo chiede “la pace anche per Filippo e per i suoi genitori”. Gino Cecchettin conclude così il suo discorso: “Giulia, amore mio, dacci la forza per sopportare questa tempesta. Voglio sperare che questa pioggia di dolore produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace”. Perdono, dice. Quando esce dalla basilica con le mani giunte ringrazia chi l’applaude e le chiavi tintinnano per lasciare il rumore nell’aria, che forse resterà. (AGI)
CAR