Giù le mani dall’istituto del referendum. Confedercontribuenti, 5 SI per riformare la giustizia. Andiamo a votare


di redazione

L’art. 75 della Costituzione prevede il referendum abrogativo, che stabilisce che 500.000 cittadini o 5 Consigli regionali, possono proporre all’intero corpo elettorale“l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge”. La Corte costituzionale, poi, si pronuncia sull’ammissibilità del referendum. Sono escluse dal referendum abrogativo le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Non è possibile abrogare disposizioni di rango costituzionale, gerarchicamente sovraordinate alla legge ordinaria. La Corte costituzionale ha esplicitato ulteriori criteri di ammissibilità dei referendum con una copiosa giurisprudenza. Perché il referendum sia valido deve essere raggiunto il quorum di validità e cioè devono partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto. Perché la norma oggetto del referendum stesso sia abrogata deve essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. Hanno diritto a partecipare al referendum tutti cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
Il referendum, quindi, è uno strumento democratico importante di partecipazione politica per i cittadini che credono nella Costituzione e nella democrazia, che ci è stato dato dai padri costituenti perché avessimo a disposizione una seconda scheda, accanto al voto politico, per decidere.
Dal 1946 ad oggi in Italia si sono svolti 73 referendum nazionali, di cui 67 referendum abrogativi, un referendum istituzionale, un referendum consultivo e 4 referendum costituzionali.
Il primo referendum della Repubblica non può che essere quello da cui la Repubblica è nata. Il 2 e 3 giugno del 1946 si vota per scegliere, appunto, tra Monarchia e Repubblica. Per la prima volta, in una consultazione politica nazionale, votano anche le donne (lo faranno più degli uomini): alla fine sono 12.717.923 i cittadini favorevoli alla Repubblica (54,3 per cento), a fronte di 10.719.824 monarchici (45, 7 per cento).
Domenica 12 giugno gli italiani sono chiamati a votare sui referendum sulla giustizia.
Cinque i quesiti a cui l’elettore dovrà rispondere: viene richiesto di votare Sì in caso si intenda abrogare la norma indicata, oppure No, in caso contrario.
Primo quesito (scheda rossa): Abrogazione della legge Severino su sospensione, incandidabilità e decadenza per alcune condanne
Secondo quesito (scheda arancione): Limitazione della custodia cautelare
Terzo quesito (scheda gialla): Separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri
Quarto quesito (scheda grigia): Valutazione dei magistrati
Quinto quesito (scheda verde): Candidatura al Consiglio superiore della magistratura
La Confedercontribuenti si è schierata apertamente per i cinque SI:
1. (scheda rossa). L’automatismo deve essere eliminato e devono essere i giudici a stabilire l’interdizione dai pubblici uffici tramite pena accessoria.
2. (scheda arancione). Riduce il numero di indagati e imputati soggetti a misure cautelari senza essere processati.
3. (scheda gialla). La modifica riequilibra il sistema giudiziario, evitando commistioni tra chi giudica e chi accusa.
4. (scheda grigia). La componente laica non deve essere esclusa dal giudizio sulla professionalità dei magistrati per ridurre il tasso di autorefenzialità nelle valutazioni.
5. (scheda verde). Abrogando questa norma si riuscirà a indebolire le correnti interne alla magistratura, lasciando ai magistrati maggiore libertà di candidarsi.
Comunque la si pensi, non andare a votare (diritto/dovere) significa depotenziare lo strumento referendario sancito dalla Costituzione della Repubblica Italiana, che per dirla alla Raf, è “la più bella del mondo”.