Giovanni XXIII – Il Papa della bontà e della umiltà.


Nell’anniversario della sua elezione alla Cattedra di Pietro – 28 ottobre 1958

Di Augusto Lucchese

Scrivere di Papa Giovanni XXIII, della Sua vita, della Sua intensa opera apostolica, degli obiettivi che s’era prefisso e dei risultati che ottenne, oltre che della sofferenza che ne precedette la stoica morte, non è certo un compito da affrontare a cuor leggero. I vari momenti e i vari avvenimenti che segnarono la Sua vita sacerdotale e apostolica non possono essere frutto, per la loro complessità e sfaccettatura, di dissertazioni a braccio, specie se fondate su un semplice sforzo mnemonico. Si finirebbe col divagare e si correrebbe il rischio, perdendo di vista la strada maestra, di finire insabbiati in vacue disquisizioni dottrinarie, storiche o teologiche e filosofiche, difficilmente comprensibili dalla gran massa degli umili estimatori del “Papa Buono”.  Proprio Lui sosteneva, del resto, che è più facile giungere al cuore di chi legge o ascolta con parole semplici e chiare piuttosto che con discorsi ampollosi e complicati.

Mi permetto di osservare, a tal proposito, che la simpatia, l’affetto, la venerazione, possono meglio acquistarsi con la moneta sonante del dialogo bonario, piuttosto che con fittizi e non riscuotibili “pagherò” basati sul preziosismo oratorio o sull’ostentazione cattedratica.

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Ricordo, come fosse oggi, il giorno della Sua ascesa al Pontificato, il 28 ottobre del 1958.

Un giorno tiepido e terso che, in altri tempi, sarebbe stato di vacanza stante che coincidente con l’anniversario della “Marcia su Roma”, come un poco riguardoso giornalista straniero (Gaston Coblenz del “Herald Tribune”) ebbe a fare risaltare.

Quel melenso cronista d’oltre Manica, riteneva d’avere trovato, in un simile sarcastico accostamento, un facile appiglio argomentale.

Non s’era sprecato di certo nello spremere le meningi per trovare diversi e più consoni riferimenti storici, ammesso che culturalmente fosse all’altezza di farlo.

Non era a conoscenza, presumibilmente, che proprio in quel giorno cadeva un ben più importante anniversario che la contestata e funesta ricorrenza fascista: quello della battaglia di “Ponte Milvio” (zona Saxa Rubra, sulla Flaminia), quando Costantino sconfisse Massenzio, dopo che in cielo gli era apparsa la visione della Croce con incise le parole “in hoc signo vinces”.

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In quel lontano ottobre del 1958  mi trovavo ad Augusta per ragione del mio lavoro e solo da poco avevo avuto la possibilità di acquistare un televisore, un monumentale apparecchio a valvole che solo ad installarlo fu una avventura.

Potei agevolmente seguire, così, nel tardo pomeriggio, il susseguirsi e concatenarsi della cronaca di quelle ore, dopo che, alle 17,30 circa, la radio aveva diffuso l’attesa notizia della “fumata bianca”, finalmente svettata su per il cielo ad annunciare l’avvenuta elezione del nuovo Successore di Pietro.

La telecronaca, densa di commenti e riferimenti riguardanti la storia del Papato, si sviluppò in maniera brillante e fornì un esauriente quadro d’insieme dello storico momento.

Venne più volte ricordato, fra l’altro, che per giungere all’elezione del nuovo Papa erano occorsi tredici “scrutini”.  L’ultimo s’era concluso esattamente alla 17,08.

Il vetusto “comignolo” tradizionalmente collegato alla “stufa” della Cappella Sistina, ponendo fine alla serie delle precedenti dodici “fumate nere”, aveva emesso, dopo circa 20 minuti, la candida nuvoletta annunciante l’atteso evento.

Era sembrato, sulle prime, che anch’essa fosse scura, quasi a deludere ancora una volta i tanti pazienti fedeli che, testa all’insù, osservavano la parte alta della Basilica nella speranza di poter cogliere per primi l’atteso momento.

Il fumo, poi, sembrò divenire lentamente grigio e, infine, fugando ogni perplessità, apparve di un bianco nitido e luminoso.

A conferma di ciò, frattanto, da un’ala dei Palazzi Vaticani, s’erano affacciate alcune suore che sbandieravano fazzoletti e drappi bianchi.

L’entusiasmo esplose, incontenibile e fragoroso, mentre dappertutto s’era preso a battere le mani e si levavano grida di “viva il Papa”.

Nessuno, però, era ancora a conoscenza di chi fosse l’Eletto e un po’ tutti ci si sbizzarriva nell’avanzare pronostici.

Le telecamere, seguitando ad inquadrare la monumentale Piazza San Pietro, offrivano adesso lo spettacolo della strabocchevole folla, multiforme e compatta, che frattanto andava sempre più assiepandosi. A detta dei cronisti, era valutabile a più di 300/mila persone.

Il vocio si levava sempre più intenso e si confondeva, quasi a folate, con le note degli inni intonati dalla Banda dei Carabinieri schierata sul sagrato della Basilica.

Erano circa le 18,30 quando le vetrate della loggia centrale si illuminarono e dopo pochi minuti si spalancarono per lasciare il passo al Cardinale Protodiacono Mons. Nicola Canali e ai Prelati al suo seguito.

La luna, già alta nel cielo, inondava d’argentea luce il grandioso scenario.

Il colonnato berniniano sembrava volesse cingere in un caloroso abbraccio l’immensa moltitudine accorsa da ogni dove, anche dalle borgate romane più lontane e sperdute.

Solo gli altoparlanti riuscivano a sovrastare il rumoreggiare della piazza, fornendo segnalazioni e cercando d’indirizzare i presenti verso una ordinata calma.

Ben presto si diffuse la voce ferma,  palesemente commossa,  del Cardinale Canali :

-“…nunzio vobis gaudium magnum, …habemus Papam,  …eminentissimum et reverentissimum dominum… (e, quasi avesse un nodo alla gola, fece una lunga pausa che sembrò interminabile) ….Angelo Giuseppe Cardinalem Roncalli , ….qui sibi nomen imposuit  Joannes XXIII …”.

Dalla folla si levò un irrefrenabile e lunghissimo applauso mentre risuonavano le note dell’Inno pontificio, scandite dalla Banda Vaticana.

Trascorse ancora qualche minuto prima che sul balcone illuminato a giorno apparisse la bianca figura del nuovo Pontefice.

Si appressò alla balconata e levò le mani al cielo in segno di saluto, un primo commosso segno della Sua nuova altissima funzione ecclesiale.

L’ovazione dell’immensa folla si protrasse per parecchio e si placò solo quando il Papa iniziò a pronunciare la sacra formula della benedizione “Urbis et Orbi”.

 

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Al termine dell’indimenticabile serata, quando la folla prese a diradarsi, in molti si saranno certamente interrogati sui motivi che avevano fatto convergere la scelta del Conclave sul nome di Angelo Roncalli.

Data la rispettabile età del nuovo Papa (settantasette anni) qualcuno avrà magari nutrito qualche dubbio circa la Sua capacità di reggere il pesante timone della Barca di Pietro, a prescindere da qualsivoglia irrispettosa ipotesi circa la durata del nuovo Pontificato.

I più volenterosi si saranno certamente precipitati a cercare fra le pagine di qualche enciclopedia chi fossero stati e in quale periodo i Papi che avevano portato l’inconsueto nome di “Giovanni”.

Il nuovo Pontefice, sino a pochi giorni prima Patriarca di Venezia, approdava alla Cattedra di Pietro portando con se il retaggio dei decenni che avevano segnato il Suo percorso umano e religioso e che avevano forgiato, nel corso della lunga e tumultuosa vita sacerdotale e pastorale, la Sua forte personalità.

Accomiatandosi dai collaboratori della Curia veneziana, diretto a Roma per il Conclave, nessuno, e neppure Lui stesso, avrebbe potuto immaginare che il Suo potesse essere un viaggio senza ritorno poiché destinato, “per  volontà dello Spirito Santo”, a ricalcare le orme di un altro Patriarca di Venezia, il Cardinale Giuseppe Sarto che fu Papa dal 1903 al 1914, col nome di Pio X.

 

Il curriculum di Papa Giovanni Angelo Giuseppe Roncalli nato il 25 novembre 1881 a Sotto il Monte, un paesino della provincia di Bergamo, quartogenito di 13 figli, è parecchio complesso oltre che denso.

 

Nel 1901, per inciso, il giovane seminarista Roncalli, ancora Diacono, dovette sottostare alla mal digerita “ferma” del servizio militare di leva che lo portò ad esprimere duri giudizi sulla pressoché incivile vita di caserma e sul modo con cui venivano trattate le “reclute”.

 

Per via dei numerosi e non facili incarichi diplomatici all’estero, il “coriaceo” Angelo Roncalli (come definito dall’allora Presidente della Repubblica Francese) ebbe l’opportunità di trovarsi a contatto col mondo orientale islamico e ortodosso  (Bulgaria, Turchia e Grecia) oltre che con quella parte d’Europa  (Francia, Belgio e Olanda) ove esistevano radicate  tendenze anticattoliche (in gran parte scaturite dal periodo dello scisma d’Occidente) e ove ci si doveva adattare a vivere gomito a gomito con la Chiesa Anglicana d’Inghilterra, con la forte Chiesa Luterana tedesca, con le varie Congregazioni Protestanti svizzere e mittel – europee.

 

Nel 1953, infine, è elevato alla porpora cardinalizia e assume la dignità di Patriarca di Venezia.

 

Papa Roncalli, in definitiva, per via dei diversificati incarichi di Legato Pontificio (Bulgaria, Turchia, Grecia, Francia), ovunque vissuti con umiltà, abnegazione e dedizione, poté acquisire quell’inestimabile bagaglio di esperienze e conoscenze che poi, da Papa, gli sarebbe stato oltremodo prezioso per affrontare con sicurezza, determinazione e all’insegna della concretezza, il gravoso compito di ridare slancio apostolico e vitalità ecumenica alla Chiesa romana.

E’ da sottolineare, altresì, che il lungo e periglioso periodo trascorso all’estero, senza mai venire meno alla più stretta osservanza dello spirito di fedeltà ai valori cristiani, contribuì parecchio ad irrobustire l’aspirazione e la volontà di operare per un incisivo rinnovamento ecumenico della Chiesa.    

 

In relazione alle forti emozioni che ispirava la ieratica figura di Papa Giovanni XXIII è estremamente pertinente riportare integralmente il pensiero di Pier Paolo Pasolini (dichiaratamente ateo) sulla “cara, familiare, figura di Papa Roncalli”, cui aveva convintamente dedicato il suo film “Il Vangelo secondo Matteo”:

“…..l’apparizione di Papa Giovanni nel nostro tempo, è stato l’unico elemento sicuramente positivo contro l’involuzione cui sembrano avviarsi sia la cultura laica che la cultura cattolica.”

 

Ma il ricordo più bello che si possa avere di Papa Giovanni è senz’altro quello legato alle stupende parole che ebbe a pronunciare la sera dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II – (11/10/1962).

    L’indimenticabile “DISCORSO DELLA LUNA”

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Alla fine di quella faticosa giornata Papa Giovanni s’era già ritirato nella sua stanza quando il lungo e reiterato applauso della folla ancora presente in Piazza San Pietro, indusse Mons. Capovilla, suo Segretario particolare, a pregarlo di affacciarsi per benedire i fedeli.

Si lasciò convincere di buon grado, s’appressò alla finestra e nel rispondere all’entusiastico saluto della folla, gli fu spontaneo rivolgere ad essa la propria parola.

Nessuno, in quel momento, avrebbe potuto immaginare che quella breve allocuzione,  improntata al momento, sarebbe divenuta un ricordo indelebile nell’animo di chi ebbe la fortuna di ascoltarla dalla Sua viva voce.

Con tono coinvolgente e bonario prese a scandire le Sue toccanti parole e s’avvertì subito, dagli applausi scroscianti, l’entusiasmo che esse determinavano fra la gente. Riportandone il testo integrale è come rivivere l’esaltante atmosfera di quella sera:

 

 

 

“… Cari figlioli, … sento le vostre voci, …sono tante,

 … la mia è una voce sola ma è la voce del mondo intero;

… qui tutto il mondo è rappresentato; 

… si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera,

 … potete osservarla lì in alto, … a guardare questo spettacolo;

la Piazza e la Basilica di San Pietro illuminata da mille luci …

Noi chiudiamo una grande giornata di pace, …  sì, di pace.

… La mia persona conta niente, … è un fratello che parla a voi,

… un fratello divenuto padre per  volontà di nostro Signore;

… ma siamo qui’, … tutti insieme,

… per spirito di paternità, di fraternità, per  grazia di Dio…;

 … continuiamo dunque a volerci bene, … a volerci bene così, …. nell’incontro.

Gloria a Dio e pace agli uomini di buona volontà;

… cogliamo quello che ci unisce e lasciamo da parte ciò che può tenerci un po’ in difficoltà;

 

… Tornando a casa troverete i vostri bambini,

    … date una carezza ai vostri   bambini e dite: …. questa è la carezza del Papa; 

  … troverete qualche lacrima da asciugare, … fatelo

… e dite a chi soffre una parola di conforto; 

… il Papa è con Voi,  … specialmente nelle ore della tristezza

o dell’ amarezza;

… e poi, tutti insieme animiamoci,

cantando, sospirando, piangendo,

ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta,

 … continuando per il nostro cammino.

 

  … e adesso a voi tutti la Santa Benedizione

        e la buona notte che mi permetto di augurarvi” ! 

 

Quale commento può essere aggiunto a così eccelse, profonde e incisive parole ?

Nessuno !

Nel riascoltarle o nel rileggerle, suscitano sensazioni di irrefrenabile commozione, di profondo benessere spirituale, di pace interiore.

Sono come lo scorrere di un limpido torrente di montagna, come l’ascolto di una struggente nenia, come una celestiale musica che fa vibrare l’animo.

E spunta anche qualche lacrima.

Esse, oltretutto, quasi riescono a far rivivere l’anima santa di Papa Giovanni.