Di Ettore Minniti
Il 15 novembre 1920 nasceva a Comiso, in provincia di Ragusa, Gesualdo Bufalino.
“Affabulatore incontenibile. Erudito e sbrigativo. Razionale ed esoterico”, così è descritto Bufalino in un articolo apparso su “Repubblica” il 10 giugno 2006 in occasione del decennale della sua scomparsa a seguito di un incidente stradale. Nella sua assolata Comiso – dove era nato nel 1920 – da lui soprannominata “Cruise Town” (dal nome dei missili custoditi, nei primi anni ’80, negli hangar blindati della base militare statunitense alla periferia del paese) – riesce a sottrarsi alla contaminazione della modernità e ad eludere l’effimero delle mode. Non a caso conia il termine “isolitudine”, ovvero la solitudine doppia nell’Isola.
“…Vero è che le Sicilie sono tante, non finiremo mai di contarle. Vi è la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline… quella bionda del miele, quella purpurea della lava…”. Queste le parole di Gesualdo Bufalino per descrivere la sua Sicilia, la Sicilia di ciascun siciliano, il cui profumo di zagara o di zolfo varca i confini della Terra fino a toccare il cuore di tutti e, soprattutto, di chi ha lasciato la sua Isola per lavoro.
“La luce e il lutto” di Gesualdo Bufalino (Edizioni Sellerio) sono una lucida fotografia sulla Sicilia e sull’insularità, “un capire, assolvere o condannare”. Lo scrittore ricostruisce una Sicilia mitica e nostalgica perché, come lo stesso autore rileva nella breve introduzione, “a guarire l’analfabetismo morale da cui (non solo noi) siamo afflitti, possano un poco servire, sebbene fatti d’aria, anche le nostalgie, le favole e i sogni”, un paese, che è ombelico del mondo e che è avvinto da un fato avverso e nefasto che può, a ragione, essere sintetizzato nel detto popolare: “Chistu è ‘u paisi d’o scunfuortu: o cadi acqua o tira ventu o sona ‘a muortu”. (Questo è il paese dello sconforto: o diluvia o c’è vento o suona il mortorio).
Una Sicilia soleggiata che è compagna di vita, tristezza, dolore ma anche gioia. Gioia di vivere in una terra tanto martoriata dagli eventi storici quanto apprezzata da poeti e scrittori. “Vivere” – diceva Bufalino – “equivale ad agire in modo che ogni azione possa trasformarsi in ricordo” e, nei suoi ricordi, la sua città natale, Comiso, ha sempre un posto di riguardo (Relazione del prof. Nino Cirnigliaro, nel decennale della morte dello scrittore).
L’“insularità” è stata vissuta dallo scrittore con quella consapevolezza di amare la sua terra e, soprattutto, la sua Comiso: “Probabilmente è vero, ma a me piace credere che solo a Comiso ogni cosa si componga e respiri, per naturale destino, in un’aria di perpetua e volubile e lieta invenzione e improvvisazione scenica”.
Tutto ciò dà l’idea della peculiarità della città casmenea che si adagia dolcemente sulla Piana dell’Ippari, con il suo saliscendi di vie che s’intrecciano tra la pianura e i monti mentre i campanili delle chiese si ergono fieri su piazze, fonti, mosaici e palazzi. Bufalino chiamò la sua città natia: “Città Teatro. Poiché in qualsiasi angolo è possibile assistere a uno spettacolo”. L’autore descrive il suo paese in ogni minuzia, dalla posizione geografica all’architettura dei palazzi, dalle vicende cittadine alle caratteristiche della popolazione che lo abita: “Giace, Comiso, ai piedi degli Iblei, nel punto dove il monte s’addolcisce e dirada i suoi carrubi per far posto ai fertili seminati della pianura”. L’autore ha dedicato molti scritti alla sua città, soprattutto alle vicende del passato, non tralasciando però di soffermarsi anche su quelle attuali spesso fonte per lui di rammarico e di dolore. Così lo scrittore descrive l’ambiente: “… è un paese antico, cresciuto attorno a un’antica sorgiva che ha preso nome da Diana, non senza qualche ragione, dal momento che nelle adiacenze sono affiorati ruderi di terme e mosaici con figure di numi e di idee”. Bufalino, con coraggio e scevro da condizionamenti politici, ha narrato anche pagine negative della sua odierna Comiso, come quella specie di un’invasione subita dal suo paese nei primi anni ottanta, di cui lo scrittore fu ancora una volta testimone. Nell’estate del 1981, durante un acutizzarsi della guerra fredda, accordi della NATO stabilirono l’installazione di un certo numero di testate nucleari a Comiso. Per l’impianto della base missilistica venne scelto il vecchio aeroporto militare “Vincenzo Magliocco”, in questo frangente Bufalino ebbe a dire: « Nessuno ci pensava più, nessuno poteva immaginare che di tanti luoghi d’un tempo, desueti o distrutti, questo solo, il più sinistro, dovesse risuscitare, riverniciato a nuovo, ospizio di altri e tanto più stupidi e perfetti congegni per ammazzare, chiamati (chissà cosa vuol dire) Cruise….” Comiso, allora, buco nero, reggia-prigione, bunker, santuario, tana, ventre protettivo, polmone d’acciaio (tutte definizioni che Bufalino diede del suo paese), diventa l’ostacolo necessario per superare il confine dell’orizzonte: “Ho scritto molto sulla Sicilia, se una regola m’era possibile trarre, era di non promuovermi giudice o pedagogo, chirurgo o clinico della mia gente ma di sommessamente capirla”. L’auspicio che vi siano altri autori e scrittori nel nostro Bel Paese, liberi e forti, che come Gesualdo Bufalino, sappiano capire le sofferenze e la solitudine della gente, evitando giudizi superficiali, da psicoterapeutici, nei talk-show televisivi o sugli odierni social. |