fonte: @Enciclopedia delle donne
La vita di Gerda Taro, finita in fretta nel 1937, e la sua figura professionale resteranno per sempre legati all’antifascismo, alla guerra civile spagnola, ai servizi fotografici dal fronte e a Robert Capa, con cui ha condiviso amore e lavoro, da quando lo conobbe sino alla morte.
Nata a Stoccarda nel 1911 da una famiglia ebrea di origine polacca Gerta Pohorylle è inevitabilmente coinvolta nell’ ascesa del nazismo in Germania, al quale si oppone apertamente; viene arrestata nel 1933 con l’accusa di attività sovversiva e propaganda antinazista.
Tornata in libertà, Gerta decide di cercare rifugio a Parigi, dove sempre più artisti, intellettuali e fotografi si sono trasferiti e continuano a giungere, mossi dalle sue stesse motivazioni e dal fervore artistico che caratterizza la capitale francese in quegli anni. Non era ancora pensabile che l’esercito nazista potesse un giorno occupare Parigi, che sembrava una città sicura e democratica, una roccaforte di libertà. Fu a Parigi che Gerta ebbe l’incontro che le cambiò per sempre la vita. Come lei, partendo dall’Ungheria e dopo un breve soggiorno in Germania, era giunto a Parigi anche Endre Friedmann, di appena 2 anni più giovane e fotografo; aveva francesizzato il suo nome in André e già raggiunto una certa notorietà per avere realizzato, nel 1932, lo scoop fotografico di Trotskij che parlava agli studenti universitari di Copenhagen. Era quello che oggi si direbbe un free lance, come molti che si presentavano nelle redazioni parigine e proprio Gerta gli suggerì un piccolo espediente: passare entrambi per assistenti del noto (ma inesistente) fotografo americano Robert Capa, troppo impegnato a fotografare per mantenere i contatti con le redazioni. L’assonanza del nome con quello del celebre regista Frank Capra e l’aura che sempre circondava i fotografi d’oltreoceano permise a Friedmann-Capa e Gerta-Gerda Taro (anche il suo nome d’arte richiamava una certa assonanza con quello di Greta Garbo) di essere considerati con maggiore attenzione; ben presto i loro pseudonimi divennero una presenza fissa sui maggiori settimanali francesi. Le loro foto erano firmate indifferentemente Capa o Taro: questo rende ancora oggi difficile distinguere quelle dell’uno da quelle dell’altra.
Nel 1936 la rivista «Vu» li ingaggiò per documentare la guerra civile spagnola ed insieme partirono verso i fronti, scegliendo come punto di vista la guerra dalla parte della popolazione civile e il fronte dei repubblicani. Le loro fotografie venivano pubblicate dal settimanale e dai quotidiani, in particolare «Ce Soir», con la firma di entrambi. Anche la nuova e già importante rivista «Life» pubblicò le loro immagini.
Solo negli ultimi anni, cercando di distinguere la produzione della Taro da quella di Capa, ci si è meglio soffermati sulla individuazione del lavoro della fotografa. Un buon criterio, anche se non infallibile, è distinguere i formati dei negativi: Gerda infatti usava prevalentemente un apparecchio con negativo 6×6, ma è nell’inquadratura che le differenze si fanno evidenti. Gerda difficilmente si pone al centro dell’azione per fotografare alla pari con chi le sta attorno, ma cerca sempre una posizione che le permetta una composizione completa della scena, così da renderla il più descrittiva possibile. Il suo impegno politico faceva sì che considerasse la fotografia non come fine a se stessa, arte e o mestiere che fosse, ma come una forma di militanza vera e propria, di testimonianza utile di quei giorni cruciali. Nei ritratti tende sempre ad esaltare la figura dei combattenti con angolazioni prese dal basso e l’isolamento del soggetto. Nel racconto della battaglia, invece, si pone come testimone oculare. La sua è una visione diretta senza alcuna ricerca di effetti, ma con l’accuratezza di far sentire il proprio punto di vista come quello di chi sta guardando l’immagine. Le sue fotografie sono ancora oggi tra i documenti visivi più importanti della guerra civile spagnola vista dalla parte dei combattenti repubblicani.
Soprattutto, però, bisogna ricordare che Gerda Taro è considerata la prima donna fotografa impegnata in prima linea e purtroppo anche la prima a morire in guerra. Non una morte eroica, ma banale, come è spesso la morte e come sarà molti anni dopo anche per Capa.
Durante un trasferimento il camion su cui viaggia si scontra con un altro mezzo e lei, cadendo dal predellino su cui si trova, viene travolta da un carrarmato. Trasportata all’ospedale di Brunete ancora in vita, muore dopo poche ore, il 27 luglio del 1937.
La sua scomparsa viene accolta con grande partecipazione in tutto il mondo. Dagli spagnoli, dai suoi colleghi, primo tra tutti Capa – che probabilmente non si riprenderà mai dal lutto -, dalla comunità artistica parigina. La salma sarà trasportata a Parigi e un lungo corteo funebre voluto dal Fronte Popolare la seguirà fino al cimitero di Père-Lachaise dove sarà sepolta il 1 agosto: il giorno del suo ventiseiesimo compleanno. La pietra tombale sarà disegnata per lei da Alberto Giacometti. I nazisti, una volta occupata Parigi, non persero l’occasione di sfregiare la sua tomba distruggendola: quella di una loro connazionale che aveva scelto la democrazia e la libertà combattendo contro il fascismo con le sue fotografie. Morta per la libertà e la fotografia. Oggi la sua lapide porta solo il suo nome, Gerda Taro, e due date 1911-1937.