Generali, tutti i no di Caltagirone in cda


Le motivazioni ufficiali delle dimissioni ancora non sono note. E fonti del suo gruppo si limitano a ribadirlo. Ma la decisione di Francesco Gaetano Caltagirone di lasciare il cda di Generali non è né estemporanea né improvvisata. Arriva a valle di una lunga lista di contestazioni alla gestione e soprattutto all’assetto di governance della compagnia assicurativa, esplicitate nella corsa, persa, che ha portato all’assemblea del Leone di Trieste e alla conferma dell’Ad Philippe Donnet e anche dopo, durante le prime riunioni del nuovo board.

Il primo no, il più significativo, è stato pronunciato quando ha espresso voto contrario alla conferma di Philippe Donnet come Ceo. Anche gli altri due membri espressione della sua lista, che si è opposta a quella sostenuta da Mediobanca, non hanno sostenuto il nuovo corso: no anche da Flavio Cattaneo, mentre si è astenuta Marina Brogi.

Ma è nel passo successivo, quello della nomina dei comitati interni, che si è consumato un nuovo scontro. Due, in particolare, le manifestazioni più evidenti del malcontento dell’imprenditore romano. Prima, la scelta di non prevedere una rappresentanza della minoranza (la sua) nei comitati. Seconda, e più sostanziale, la ferma opposizione alla scelta, questa volta del board, di fare a meno del comitato per le operazioni strategiche e gli investimenti, un organismo che non viene considerato una best practice internazionale, con la proposta invece che alle operazioni strategiche partecipi tutto il cda. Al contrario, Caltagirone resta convinto che le funzioni di quell’organismo vadano salvaguardate e inserite nel comitato investimenti, come è stato fino al 2019.
Dietro la scelta delle dimissioni di oggi, potrebbe esserci la volontà di riaffermare con forza la netta contrarietà di Caltagirone a un sistema di governance troppo sbilanciato a favore del Ceo, Philippe Donnet, e di un cda saldamente controllato dalla lista di maggioranza, espressione di Mediobanca.

In un’intervista rilasciata a Il Sole 24 Ore, prima dell’assemblea decisiva per le Generali, l’imprenditore si era soffermato su questo tema cruciale. Partendo dalla fotografia della situazione, “tutti i poteri sono concentrati nelle mani dell’amministratore delegato, che è stato anche alla guida del comitato investimenti e del comitato strategico”, e arrivando a quello che secondo lui è il cuore del problema: “la governance del gruppo doveva essere riequilibrata”, perché “l’indipendenza del management non si garantisce solo con una presenza ampia di consiglieri indipendenti ma anche con una distribuzione equilibrata del potere, altrimenti è un regime”.