Oggi le agenzie “si muovono lungo due binari. Recuperando le informazioni diciamo in chiaro: penso a tutto quello che viene pubblicato sui social, agli articoli di giornali, alle banche dati legali e creando dei report da mettere a disposizione del cliente. Oppure forzando le norme perché al committente non basta ed è disposto a pagare sempre di più”: a spiegarlo, in un’intervista a Repubblica sull’inchiesta milanese sui furti dalle banche dati, è Giuliano Tavaroli, l’ex capo della security di Telecom che nel 2013 patteggiò quattro anni per un caso di dossier abusivi. “Parlo anche di clienti con finalità lecite”, ha precisato, “penso alle società che vogliono sapere se hanno fornitori infiltrati dalla criminalità organizzata o dipendenti infedeli, a cui si offrono però servizi illeciti come le intercettazioni abusive. Non è un caso che le società oggetto dell’indagine abbiano tutte le autorizzazioni per fare lavori di intelligence, hanno licenze e sono sottoposte periodicamente a controlli”.
“Il mercato delle informazioni è tra i più vecchi del mondo”, ha osservato Tavaroli, “per questo non mi stupisce affatto questa storia milanese così come non mi sorprendono le altre inchieste sugli accessi abusivi ai sistemi informatici, penso a quella di Perugia odi Bari, che sono è vero diverse tra di loro ma in fondo tutte legate da un punto comune: una richiesta bulimica di conoscere i segreti degli altri. Da utilizzare per ragioni diverse: politiche, imprenditoriali o strettamente personali”.
“Questa è un’inchiesta anche di antidoping informativo in cui le agenzie avevano come obiettivo veicolare all’esterno le informazioni”, ha sottolineato l’ex capo della security di Telecom, “e si spingono addirittura a creare dossier falsi per colpire gli avversari dei loro clienti, sia nel mondo dell’imprenditoria sia nella politica. Nel mondo dell’intelligenza artificiale, la mano dell’uomo per certi lavori risulta ancora indispensabile”. (AGI)