Frana nella miniera di giada, 160 morti in Myanmar


AGI – Alcuni, pochissimi, si sono salvati nuotando nel lago fino alla riva, altri a decine sono stati inghiottiti dai flutti: e il conto finale delle vittime è stato pesantissimo, piu’ di 160 minatori morti. È il bilancio di uno smottamento di terreno in una miniera di giada nel nord della Birmania, vicino al confine cinese, una delle peggiori catastrofi negli ultimi anni. I minatori sono stati spazzati via da un torrente di fango causato dalle piogge monsoniche. Le operazioni di soccorso continuano, ma sono ostacolate dalle forti piogge cadute nella zona.
I soccorritori hanno trascorso gran parte della giornata a cercare le vittime, usando pneumatici come zattere di fortuna.”Siamo riusciti a recuperare solo i corpi che galleggiavano”, ha raccontato un commissario di polizia, Than Win Aung.

La tragedia è avvenuta vicino al confine con la Cina, in una valle nel cantone di Hpakant, rimasta completamente sommersa dal fango. Le miniere a cielo aperto hanno trasformato questa regione di difficile accesso in un paesaggio lunare; e gli smottamenti di terreno sono comuni. Sul posto c’erano decine di operai che lavoravano malgrado le autorità avessero consigliato di recarsi sul sito a causa del maltempo: cercavano le pietre preziose sui taglienti terreni montuosi, dove i solchi degli scavi precedenti hanno già allentato la tenuta dei terreni.

Decine di minatori muoiono ogni anno in Birmania lavorando nella lucrosa, ma scarsamente regolata, industria della giada: migranti malpagati estraggono la pietra semipreziosa, che è molto apprezzata in Cina. Negli anni, hanno scavato grandi appezzamenti fino a centinaia di metri di profondità, causando danni significativi all’ambiente. Per frenare questo sfruttamento illimitato, il governo birmano nel 2016 ha imposto una moratoria alle nuove licenze minerarie; le aziende devono ora rispettare le norme ambientali, che dovrebbero essere più rigide, per ottenere il diritto allo sfruttamento e non possono scavare aree di dimensioni superiori ai due ettari. Il risultato è che molte miniere di grandi dimensioni hanno chiuso e non sono più monitorate, ma questo ha consentito il ritorno di minatori indipendenti: esponenti di comunità etniche svantaggiate, lavorano in modo pressoché clandestino nei siti abbandonati.

Le pietre di bassa qualità vengono scambiate con il cibo o vendute per pochi dollari; ma tutti in realtà sperano di fare ‘bingo’, trovare la pietra che cambierà loro la vita perché vendibile a decine di migliaia di dollari. Secondo la ong, Global Witness, attorno all’attività c’è un giro di affari di decine di miliardi di dollari. La catastrofe era “evitabile”, ha denunciato Hann Hibdstrom che lavora per l’ong, e mette in evidenza “la necessità urgente” di regolamentare l’industria. Global Witness sostiene che molte di queste miniere sono in qualche modo riconducibili ad esponenti della ex giunta birmana o dell’elite militare e la tragedia dovrebbe essere un “campanello d’allarme” per il governo guidato da Aung San Suu Kyi, il cui partito ha promesso di riformare e sradicare la corruzione. 

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Fonte: estero agi