Fotografia: i pescatori di Bellina, “In barca per fuggire via”


Dopo “Oriri”, la mostra presentata in primavera al Parlamento europeo sui traffici sessuali e i rituali voodoo in Benin, Niger, Ghana, Nigeria e Sicilia, il fotoreporter Francesco Bellina, trapanese di nascita e palermitano di adozione, espone fino al 24 settembre all’Ecomuseo del mare del capoluogo siciliano in una mostra, “Pray for seamen”, che intitola anche un libro scritto con Stefano Liberti, scrittore, giornalista e viaggiatore romano.     L’esposizione, curata dalla critica d’arte polacca naturalizzata tedesca Izabela Anna Moren (cofondatrice della Fondazione Rizoma di Palermo, hub transnazionale di ricerca, attivismo politico e produzione artistica), propone su tre piani scatti presi a Trapani, nelle isole Kerkennah in Tunisia e ad Accra nel Ghana: in alto sono sospese le foto con le bandiere nazionali, ad altezza d’uomo quelle corredate da testi esplicativi di Liberti riportati in grandi pannelli e a terra centoquaranta miniature poste su una lamiera girevole. “Con Studio Forward, responsabile dell’allestimento – dice all’Agi Izabela Moren – abbiamo subito pensato che lavorare su più livelli fosse necessario per creare una relazione con lo spettatore e creare una drammaturgia che permettesse di comunicare la complessità dei luoghi e del tema, offrendo punti di vista diversi. L’Ecomuseo urbano del mare è lo spazio giusto a Palermo per tematica ed impegno sociale. Visto dal punto di vista architettonico è uno spazio molto complesso, è gigante, molto alto e ha varie aperture con luce naturale”.
Il tema riguarda la piccola pesca che muore, nel Mediterrano come anche nell’Oceano Atlantico meridionale: la pesca non di altura fatta con i grandi pescherecci, ma quella tradizionale esercitata con la barchetta di famiglia che ricorda la Provvidenza dei Malavoglia. “Si tratta di un tema strettamente legato a quello della migrazione di cui vediamo ogni giorno i tragici esiti – dice all’Agi Bellina. – Tant’è che con Liberti abbiamo visto alle Kerkennah, isole che si trovano di fronte a Sfax da dove salpano le barche dei migranti per la Sicilia come la crisi della piccola pesca determini nei figli dei vecchi pescatori, anche giovanissimi, una reazione che li induce a servirsi della barchetta non più per pescare ma per scappare oltremare”.

La crisi della piccola pesca nasce, in regioni storicamente dedite a questa attività quali sono la Sicilia, la Tunisia e il Ghana, esemplari di una condizione generale geograficamente estesa a tutti i Paesi rivieraschi, dagli effetti della globalizzazione e quindi dalle pratiche di pesca illegali adottate su scala industriale a livello internazionale. “Colpa delle politiche anche comunitarie – osserva Bellina. – Le limitazioni imposte dall’Ue alla caccia del tonno, per esempio, hanno fatto sì che questo mammifero abbia depauperato la presenza delle specie ittiche più piccole sottraendole così alla pesca”. Bellina sente fortemente questo problema perché è cresciuto in una famiglia di piccoli pescatori dove il nonno aveva una barca con la quale pescava e vendeva direttamente al mercato ittico. La passione per la foto di interesse sociale è nata in quegli anni adolescenziali ed è diventata una professione. Lo sguardo particolare riservato alla città natale, alla Tunisia e al Ghana si spiega dunque alla luce dell’esperienza personale. “Da bambino vedevo mio nonno – ricorda – in ottimi rapporti di scambio con i dirimpettai pescatori tunisini quando il Canale di Sicilia era più che altro un ponte. Oggi non lo è più. Per ciò che riguarda il Ghana, ci sono stato più volte, ho molti amici lì e ho scoperto quanto sia, come peraltro tanti altri Paesi africani, simile alla Sicilia anche in mondi come quello della pesca. Tantissimi sono ancora oggi i piccoli pescatori, pur osteggiati dalle grandi compagnie che incrociano al largo, e tanti sono i migrant diretti in Europa. Il Ghana è un po’ la mia seconda casa dopo la prima che è Trapani, ma l’ho scelto insieme con Liberti per avere un terzo caso da mettere a raffronto con l’asse siculo-tunisino”.
Le foto in esposizione non osservano però un’articolazione nazionalistica, sebbene quelle ghanesi siano in prevalenza, ma sono raccolte secondo uno spirito unitario e indiviso riconducibile a uno solo spirituale Paese dell’anima. “Pray for seamen”, vincitore della decima edizione dell’Italian council del ministero dei Beni culturali, si offre perciò come grido di dolore e e preghiera di aiuto per gli uomini di mare appartenenti a un mondo in progressivo decadimento. “Io cerco di collaborare – dice la curatrice della mostra – con artisti che abbiano pratiche e svolgano ricerche capaci di capire meglio il mondo di oggi nelle sue complessità. Bellina è un viaggiatore che viene dall’ambito giornalistico, ciò che comporta velocità e immediatezza, eppure mostra una sensibilità che si presta allo studio del dettaglio, all’approccio studiato e lento”. Sono le tecniche che il giovane fotoreporter trapanese applica nelle sue opere, la prossima delle quali riguarderà il fenomeno dei mutamenti climatici nel Mediterraneo. Un nuovo documento dal vivo e dal crudo.(AGI)
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