La nostra amministrazione finanziaria dispone di 190 banche dati collegate digitalmente tra loro. Sono archivi che raccolgono un numero di informazioni fiscali che, se opportunamente incrociate tra loro, potrebbero determinare con grande precisione la fedeltà di ognuno dei 43,3 milioni di contribuenti italiani. Ad esempio il nostro fisco conserva ogni anno 2,4 miliardi di fatture elettroniche e 1,3 miliardi di informazioni sui redditi e sui bonus utilizzate dall’Agenzia delle Entrate per predisporre le dichiarazioni precompilate. Con un’anagrafe tributaria così particolareggiata, non dovrebbe essere difficile individuare coloro che non pagano le tasse. Come mai, invece, la dimensione economica dell’evasione fiscale in Italia rimane ancora molto elevata e ammonta a circa 84 miliardi di euro all’anno? E’ il quesito posto dall’Ufficio studi della Cgia.
Se ogni anno il popolo degli evasori sottrae al fisco quasi 84 miliardi di euro e la nostra amministrazione finanziaria riesce a recuperarne solo una ventina, analizza la Cgia, vuol dire che, verosimilmente, “sappiamo tutto o quasi su chi è conosciuto al fisco, mentre brancoliamo nel buio nei confronti di chi non lo è, con il risultato che l’evasione rimane molto elevata, penalizzando oltre misura chi le tasse le paga fino all’ultimo centesimo”. Va detto che queste banche dati non hanno come unico obiettivo quello di consentire al fisco di contrastare con maggiore incisività l’infedeltà fiscale. Sono strumenti che servono anche ad elaborare analisi economiche e statistiche molto complesse, stimando gli effetti delle politiche fiscali in corso in uno scenario caratterizzato da fenomeni sempre più interconnessi. Tuttavia, se l’evasione fiscale è uno dei principali problemi del Paese, secondo la Cgia “questi strumenti dovrebbero costituire il cassetto degli attrezzi indispensabile per costruire un fisco più giusto e più equo”. (AGI)
MAN