Ogni esperienza è di un valore e se non ha un valore non se ne può avere esperienza. Ogni valore ha quell’ordine per cui è quel valore e non altrimenti. L’ordine è un criterio quindi esprime una ragione a suo fondamento. Ogni cosa ha una ragione per cui si ordina così e non altrimenti. La ragione è l’ordine in sé delle cose: sovrasensibile e solo intellegibile. (cfr. Mondo 2016)
«Tutto si dà da una ragione e il ragionare può farsi a proposito di tutto, perché tutte le cose, avendo manifestato e scambiato il loro senso, ne lasciano accessibile il valore quindi di poter entrare nell’interiore coscienza di sé» (Ceravolo 2016, p. 33). La ragione è l’in sé delle cose, ciò da cui si ordina ogni apparire. Così se la percezione sensibile è l’immagine del mondo, la sua ragione è ciò per cui si dà tale immagine e, assieme, è la possibilità di conoscenza razionale del mondo stesso. (cfr. Mondo 2016)
A livello di immagine, i sensi tramite cui si percepisce il mondo lo percepiscono immediatamente in propria misura. Questi valori percepiti vengono poi trasportati mediatamente all’esperienza del soggetto tramite processi chimici e neurali. Talché i valori dell’oggetto giungono alterati all’immediata esperienza interna del soggetto, alterati dalla trasformazione di tutto il processo di acquisizione. Detta in altri termini: l’immediata percezione interna, per qualunque cosa percepita, avviene a seguito di una mediazione dei propri organi di percezione (es. udito) e/o di pensiero (es. cervello). Invertendo il discorso: tramite la varietà dei propri sensi, più esseri possono condividere un accesso percettivo ad un unico e identico oggetto. Un accesso percettivo a fenomeni pubblicamente descrivibili tramite un linguaggio pubblico che presuppone a sua volta un mondo pubblico (Searle 2005, p. 246: «Ciò implica che io e l’ascoltatore condividiamo un accesso percettivo a un unico e identico oggetto. […] Devo presupporre che entrambi vediamo, o percepiamo in qualche altro modo, lo stesso oggetto pubblico. […] Un linguaggio pubblico presuppone un mondo pubblico»). Da cui a sua volta quella ragione in sé dell’oggetto pubblico tramite cui ogni pubblico – meccanico, istintivo, cosciente – può averne accesso: la ragione in sé delle cose.
La ragione in sé dell’oggetto è uguale indipendentemente dall’osservatore pur variando fenomenicamente in misura della relazione con esso; lontanamente simile a come 1kg è lo stesso sia per il ferro che per la paglia benché la paglia abbia un volume maggiore: pesa di più un chilo di ferro o un chilo di paglia?; più ampiamente, benché quel chilogrammo possa sensibilmente variare relativamente alla «contrazione spazio-temporale»6 in atto.
E qui, tutto ciò che noi vediamo è l’apparire del mondo reale interiorizzato in noi tramite la mediazione dei nostri sensi. Vale a dire «ciò che, in effetti, percepiamo direttamente – […] senza la mediazione di qualche processo inferenziale – sono le nostre esperienze interne» (Searle 2005, p. 232) le quali constano dei valori degli oggetti interiorizzati in se stessi, in propria esperienza soggettiva, che è il proprio modo di vedere il mondo, la propria esperienza dei valori di quell’oggetto e non di quell’altro, in quell’ambiente di partecipazione e non in un altro. In una compresenza fra il proprio modo di vedere il mondo e il mondo.
Nel mondo, la possibilità che l’oggetto esista è la possibilità che più soggetti possano esperire quello stesso oggetto, benché col proprio modo di vedere, cioè benché ogni soggetto esperisca l’oggetto in propria misura. Da tale propria misura è possibile distinguere i valori che differenziano uno o l’altro oggetto, relativamente alle modificazioni che compiono sulla propria esperienza, semplicemente riconoscendo le differenze con cui ogni diverso oggetto colpisce i propri sensi. Quindi tenere la misura da una parte (a riposo) e il misurato dall’altra (le alterazione date dall’oggetto), identificando così i valori dei vari oggetti pur sotto la complessità dei propri sensi soggettivi. Anche se un metro (colui che misura) non potrà mai prescindere dalla propria personale misurazione, trovandosi così costretto a rincorrere l’oggettività (del misurato) tramite un valore neutro e uguale per tutti, una costante universale uguale in qualunque situazione, parimenti fuori di sé che dentro di sé e per la cui uguaglianza è indipendente dal soggetto e oggetto in esame, una costante di tipo “sistemico”. A livello fisico, conosciamo la luce come costante universale della velocità. A livello sistemico, qui parliamo della ragione come costante universale in sé d’ogni cosa; da cui una verità di ragione uguale per ogni.
Di Vito J. Ceravolo fonte@ filosofiaenuovisentieri.com/